La ricerca nell'Università di Piero Bianucci
La ricerca nell'Università La ricerca nell'Università Fine della «stagione delle piogge» LM ITALIA investe in ricerca scientifica l'uno per cento del prodotto interno lordo: un terzo dei Paesi con cui deve competere. Quel poco, bisognerebbe almeno spenderlo bene. Invece, nell'università e nel Cnr, ci eravamo abituati ai finanziamenti a pioggia: di quei pochi soldi, se ne davano pochissimi, quasi niente, ma a tutti. In modo da non scontentare nessuno, o quasi. Conseguenza: nessuno riusciva a fare qualcosa di concreto. Quegli spiccioli se ne andavano in studi preliminari, viaggi, congressi (spesso inutili). Soltanto negli ultimi tempi, sotto il ministero di Luigi Berlinguer, le cose sono un poco migliorate. Ora la ricerca ha un nuovo ministro, Ortensio Zecchino, e per adesso non si conoscono le sue intenzioni. Staremo a vedere. Ma intanto ci sembra utile far conoscere ai lettori qualche dato sui primi segni di cambiamento, augurandoci che il processo iniziato non si fermi lì. L'Università ha due compiti che devono aiutarsi l'un l'altro: insegnare e fare ricerca. Specialmente quella ricerca di base che, non potendo dare nell'immediato applicazioni redditizie, l'industria non farebbe. Purtroppo, pagati i docenti e le strutture, alla ricerca rimane un misero 5 per cento del finanziamento complessivo. E' questa la somma residua che veniva amministrata a pioggia. Un passo avanti si è fatto due anni fa introducendo il cofinanziamento: brutta parola per dire che i soldi vengono dati soltanto a chi ha già da altre fonti almeno il 30 per cento della cifra che gli serve. Un secondo criterio introdotto è stato quello della valutazione dei progetti di ricerca da parte di esperti indipendenti, italiani e stranieri, scelti in un'ampia lista da un comitato di cinque garanti scientifici. Le domande di cofinanziamento, infine, devono essere redatte anche in inglese (è incredibile, ma questa norma in Italia rappresenta un filtro!) e la valutazione avviene rapidamente via Internet nella massima trasparenza. Quest'anno erano disponibili 200 miliardi, il 34 per cento di più rispetto al 1997, ma da dividersi tra 50 Università (!). Le domande sono state 1358 e le unità di ricerca oltre 8400. Tante, ma pur sempre il 18 e il 20 per cento in meno rispetto all'anno precedente: quelli abituati ad aspettare la pioggia forse si sono fatti da parte. In media venivano chiesti per ogni progetto 50-60 milioni per le discipline umanistiche e più di 100 per quelle scientifi- che. Bene: con la nuova tendenza è stato possibile assegnare in media l'85 per cento della cifra richiesta, mentre in passato, per accontentare tutti, non si andava oltre il 20-30 per cento. Questo significa che i soldi potranno davvero servire a realizzare i progetti presentati. Chi ha a cuore la qualità della ricerca si augura che il nuovo ministro non faccia passi indietro. Rimangono tuttavia alcuni problemi. Uno per tutti: sono tagliati fuori dalla possibilità di proporre progetti i giovani che, pur lavorando all'Università, non sono ancora strutturati e non hanno posizioni stabili. Qui emerge un dato davvero preoccupante: l'età media dei ricercatori universitari strutturati supera i cinquantanni. Se questi sono i «giovani», gli altri... Piero Bianucci
Persone citate: Luigi Berlinguer, Ortensio Zecchino
Luoghi citati: Italia
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