L'intervista. Aun anno dalla morte di Strehler, parla il condirettore del Piccolo di Chiara Beria Di Argentine

L'intervista. Aun anno dalla morte di Strehler, parla il condirettore del Piccolo L'intervista. Aun anno dalla morte di Strehler, parla il condirettore del Piccolo Escobar, la scienza in scena «La nostra sfida: laicizzare senza perdere i sentimenti» cu MILANO clan chiusi stanno ammazzando i teatri». A parlare è Sergio Escobar, da ottobre alla guida con Lu- Ronconi, del Piccolo Teatro. «Di uomini come Paolo Grassi non ce ne sono più, ma tu sei il meno peggio», con questa ironica telefonata di Nina Vinchi, Escobar, 48 anni, laurea in filosofia della scienza, ex sovrintendente all'Opera di Roma, dopo gli anni alla Scala come assistente di Carlo Maria Badini, quelli in Fininvest a occuparsi di editoria televisiva e quelli alla guida del Comunale di Bologna e del Carlo Felice a Genova, si è insediato nel teatro più amato e tormentato d'Italia. Arrivato a Milano, l'ex allievo di Lodovico Geymonat che ama citare una frase di Alexandre Koyret «dal mondo del pressappoco all'universo della precisione», è andato in Statale a incontrare Giulio Giorello, in perfetta sintonia con Ronconi che vuole aprire il Piccolo a discipline inedite per il teatro, commissionando testi a filosofi, fisici, economisti. Spiega Escobar: «L'anima vera che ricordo di Milano è un mix di passione e razionalità. Una città con forti elementi di solidarietà complementari all'industria, alla cultura scientifica. Quest'anima va ricomposta». Poi, incalza: «La nostra sfida è laicizzare il Piccolo senza perdere i sentimenti». Quindi, testi scritti da scienziati, il teatro come giacimento di copyright («in un momento in cui Bill Gates compra diritti noi che facciamo prosa siamo il futuro della comunicazione») con videobar e una radio tematica collegata al Piccolo ma anche 700 biglietti donati, grazie a quattro sponsor, alla Caritas per aprire il teatro la sera di Natale, nel primo anniversario della morte di Giorgio Strehler, a chi non può permettersi il bello. Disoccupati, malati, extracomunitari a una replica del Don Giovanni di Peter Brook: un gesto forte destinato a sollevare, dopo quelle sulle due inaugurazioni, nuove polemiche su presunti antagonismi tra il Piccolo e la Scala. A Londra, Tokyo, Osaka ci possono essere la stessa sera tre o quattro grandi spettacoli senza che si creino tante divisioni persino ideologiche. Perché, a Milano, accade tutto ciò? «Non è solo un problema occasionale di una sovrapposizione, certo sbagliata, di date. Milano ha grandi e rispettate istituzioni che però rischiano di isolarsi anche per le troppe lodi che ricevono...» Si riferisce alla Scala di Muti? A quello che, secondo alcuni critici, è un monopolio musicale ormai soffocante con relativo autoesilio di direttori come Abbado? «Non parlo solo della Scala, anche del Piccolo. Il fatto è che in questi anni la Scala, ha potuto più del Piccolo che per varie ragioni era «La città avdi solidariall'industrQuest'anim in crisi, diventare un punto di riferimento in una città che aveva perso la bussola. Cosa buona e bella ma che comporta dei rischi, un po' come l'aspirina che ti fa venire il mal di stomaco. Quale rischio? Che attorno all'istituzione si formi una specie di clan chiuso per cui ciò che importa non è il pubblico ma andare o no d'accordo con un'altra istituzione. Questo clima non solo è noioso e di cattivo gusto ma assolutamente deleterio, in questo clima il pubblico finisce per essere il terzo incomodo». In che senso? «Chiedersi, costi a parte, se tre direttori d'orchestra ma anche se tre registi - succedeva ai tempi di Strehler che veniva accusato di tenere lontano uomini come Ronconi - una sera a Milano sono troppi è una domanda, dal punto di vista dell'equilibrio delle istituzioni, imbarazzante e salottiera. Se invece te la poni dal punto di vista del pubblico o come preferisco dire dei diversi pubblici, ha una sola banale risposta: ovviamente no. Per smontare questa costruzione ci vuole una semplice formula laica. Recita: ricordiamoci che lavoriamo per il pubblico e non per noi. Tutto ritorna nonnaie. E allora anche Abbado tornerà a Milano, come mi auguro, non per andare al Piccolo o alla Scala ma se saremo capaci di offrirgli un progetto artistica - mente giusto ed economicamente fattibile. E allora, in uno spirito diverso, Milano e le sue grandi istituzioni non solo i teatri ma anche la Borsa o il Museo della Scienza e della Tecnica avranno la possibilità di collaborare al Grande Progetto: diventare, in un mo¬ e sàure ne oia» mento in cui si esalta la distinzione dei pubblici, il centro dove si progetta la circolazione di idee. Il cavo, la piattaforma, tutto è impalpabile. E come diceva Strehler ci sono poche cose impalbabili oltre l'anima che si possono commerciare. Le idee, il teatro. Ma tutto questo significa passare dal pressapochismo delle sàure (oltretutto se sei solo salottiero dopo un po' la gente si annoia) all'universo della precisione». Dopo il successo del «Don Giovanni» continuerete con la musica al Piccolo? «Visto lo spettacolo critici come Baricco hanno detto esattamente quello che noi avevamo teorizzato: e cioè nessuna contrapposizione con la lirica ma l'apertura di un'altra finestra sul teatro musicale contraddistinta dalla centralità della lettura registica. Un'offerta in più, forse anche un nuovo pubblico. Per il futuro? Vedremo, ma non è certo nostra intenzione fare un cartellone lirico». I nuovi poveri, gli emarginati al Piccolo a Natale. Non è demagogia? «Nel '47 Grassi e Strehler portarono ili via Rovello gli operai delle fabbriche di Sesto. Da allora tutto è cambiato, non ci sono più classi sociali, tutto è più complesso ma i poveri di oggi sono forse ancora più poveri di quelli di 50 anni fa. Certo, in confronto al loro progetto politico, il nostro è solo un balbettio: solo un gesto simbolico per tirar fuori dall'anonimato, almeno a Natale, questi volti e far riflettere l'altra città». Chiara Beria di Argentine «La città aveva forti elementi di solidarietà complementari all'industria, alla cultura scientifica Quest'anima va ricomposta» «Dalpressappochismo delle sàure all'universo della precisione Se sei solo salottiero dopo un po ' la gente si annoia»