Un secolo di sci e slitte sotto un cielo di cristallo

Un secolo di sci e slitte sotto un cielo di cristallo Un secolo di sci e slitte sotto un cielo di cristallo GLI INVERNI SULL'ALTIPIANO GFOLGARIA LI Altipiani», dicevano negli anni della Grande Guerra. Partendo da Oriente c'è quello dei Sette Comuni, quindi l'altipiano di Lavarone e, infine, quello di Folgaria. A guardare la carta geografica d'Italia sono le Prealpi tra Brenta e Adige, le cui vette più alte restano la Cima XII e il Pasubio. Già nel 1909 Cesare Battisti (sì, il valoroso irredentista impiccato nel cortile del Castello del Buon Consiglio a Trento) aveva scritto una guida di queste terre dove si leggono delle notizie che oggi ci sembrano molto curiose: dall'Austria, per raggiungere Folgaria, non occorreva il passaporto, ma dall'Italia ovviamente sì; una lira italiana, un franco svizzero e uno francese valevano parimenti al cambio 0,95 corone austriache, il marco germanico 1,18. Già allora c'era una certa unità monetaria. Le automobili e le motociclette per poter circolare liberamente sulle strade dovevano essere riconosciute idonee dalla Luogotenenza Provinciale di Trento; nelle località chiuse (centri abitati) la velocità massima permessa non doveva superare i 15 chilometri, sulle strade libere i 45. Biciclette, motociclette e automobili che entravano dall'Italia, e quindi dall'estero, dovevano pagare una tassa d'entrata che variava da 50 corone per le biciclette a 150 per gli automezzi di massimo peso; valeva per 100 chilometri, ma all'uscita dal confine i turisti avevano il diritto alla restituzione per intero della tassa. Scriveva inoltre Cesare Battisti che quel territorio convenuto genericamente con il nome di Altipiani «...specialmente dal tempo in cui la lotta nazionale scatenatasi tra gli italiani e i pangermanisti ha aumentato la notorietà della regione ed ha su di essa richiamato gli sguardi di tutto il Trentino». Allora, nel 1909, i gruppi germanici che nei villaggi lontani ancora parlavano una antica lingua germanofona chiamata «cimbro» erano lusingati da interessi politici e economici che partivano da lontano. Quelle montagne erano povere; uniche attività l'allevamento, la pastorizia e il lavoro nei boschi. Rilevante l'emigrazione, e i minatori di Folgaria trovano lavoro nelle miniere della Westfalia. Scriveva Cesare Battisti: «Di industrie vere e proprie non si può parlare; l'unica è quella del forestiere, ancor essa ai primi inizzi...». C'erano però quattro buoni alberghi per ospitare turisti e villeggianti; tra essi, giovane ragazzo, anche Cesare Musatti che poi sempre amò quei luoghi. Ma non c'erano ancora sciatori. Uno di quegli alberghi di quasi cent'anni fa ha ancora conservato il nome: «(Albergo Alpino», l'albergo «Stella» è diventato «Stella d'Italia», «L'aquila nera» ha cambiato il nome. Naturalmente oggi sono tutti rinnovati conservando però l'antica tradizione di ospitalità e buona professionalità. Folgaria, scriveva Cesare Battisti, deriva dal latino filix, filica- ria: luogo dove crescono le felci, ma nelle carte del XVI Secolo e nelle vecchie mappe si trova scritto Villegrait e Villgerait che significa «molti ronchi», esteso dissodamento; il che è più probabile. Ed è su questi terreni disboscati e dissodati a prati che oggi si scia. Anche lì, come in altri luoghi da queste parti, si incominciò a sciare all'inizio di questo secolo. Battisti nella sua guida non parla di sciatori o di sport invernali, mentre in un antologia di terre confinanti, stampata un anno do¬ po, si legge di gite con slitte tirate da cavalli, «di divertimenti sportivi invernali, noleggio slitte, skij, pattini» e di persino «patinoire». Ma poi venne la Grande Guerra. Folgaria diventò immediata retrovia del Fronte Trentino. Gli abitanti fatti evacuare e internati in luoghi ' lontani dell'Impero asburgico. Le case e gli alberghi occupati dall'I.R. esercito; nelle sale da pranzo i generali studiavano nei particolari la grande offensiva che il maresciallo Conrad aveva sognato contro «l'Italia fe¬ difraga». A comandare quel settore del fronte era il principe Eugenio e il famoso generale duca Viktor Dankl l'I la Armata austro-ungarica. Era nel maggio del 1916 e sugli Altipiani i nemici vennero fermati quando giunsero in vista dell'agognata pianura. Il Pasubio, scrissero in quel tempo i nostri giornali, divenne «le Termopoli d'Italia». L'inverno del 1916-' 17 è ancora ricordato nella storia per le grandissime'nevicate. A Folgaria si organizzarono corsi di sciatori per istruire i soldati a spostarsi e a operare velocemente con questi nuovi mezzi. Sul Pasubio, intanto, le valanghe facevano più vittime che non le artiglierie e le mitragbatrici. Fritz Weber nel suo libro «Das ende einer Armee» scrive: «... Nevicava giorno e notte, senza interruzione. Piste e sentieri, rocce e trincee, reticolati e ricoveri scompaiono sotto uno strato sempre crescente...». «... La neve è un peso che minaccia di stritolarci a ogni passo. Da cima in cima si ripercuote il rombo delle valanghe che precipitano a valle. Il numero delle vittime cresce. Ogni giorno una nuova catastrofe. Nel corso dell'inverno la montagna sulla quale ci troviamo costa la vita di ottomila uomini. Pochissimi cadono per mano del nemico; l'enorme meggioranza finisce nei crepacci, o ha le membra congelate, muore assiderata...». Sono pochi, ora, a ricordare quei tempi. I protagonisti sono tutti scomparsi e alle nuove generazioni quelle vicende sono più lontane della Luna. Oggi a Malga Cornetto sale una telecabina; le seggiovie portano gli sciatori al Sommo Alto; sui 20 chilometri di piste dove un tempo arrancavano soldati e cannoni salgono e scendono frotte di sciatori. I ragazzi e le ragazze sfrecciano nel sole, e nel cielo alto e limpido non passano le granate con il loro sibilo ma gli aerei di linea che uniscono il Sud e il Nord dell'Europa. Tre anni fa, in una sera d'inverno, ero a Stoccolma e invitato a cena a casa del mio editore mi trovai accanto una gentile giornalista. Nevicava e l'illuminazione era tutta a candele. Si venne a parlare anche di sci e dei loro campioni. La mia sorpresa fu quando mi disse che lei per sciare veniva in Italia, dalle nostre parti. «Ma come? Con tutta la neve e gli impianti che vi trovate qui a portata di piedi?», dissi. «Ma non vi rendete conto che voi avete il sole?», mi rispose. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Battisti, Cesare Battisti, Cesare Musatti, Fritz Weber, Malga Cornetto, Mario Rigoni Stern