Netanyahu, 5 punti per farsi dire no di Fiamma Nirenstein

Netanyahu, 5 punti per farsi dire no Chiede la fiducia su una mozione oltranzista che porterà al voto anticipato Netanyahu, 5 punti per farsi dire no Sharon-. annettiamo i Territori TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Per il governo Netanyahu è giunto alla fine, dopo tante tempeste, il «grande lunedi», come lo chiamano qui. Che il governo debba cadere a causa della mozione del partito laborista, che propone appunto le elezioni anticipate, o a causa delle parole stesse di Netanyahu, dopo che si è respinta la piattaforma politica per cui il primo ministro chiede l'approvazione, in fondo è poco importante. Un brivido di paura o di soddisfazione fa vibrare Israele: il politico che moltissimi hanno amato odiare, colui che ha portato un autentico cambio di regime dopo l'assassinio di Rabin, mangia la polvere. Comincia di nuovo la guerra per una visione del mondo, lo scontro tra la vecchia classe dirigente ashkenazita sionista e socialista, e quella sefardita, religiosa, eppure anche liberista-americana di Netanyahu. Sarà mia lotta a coltello su tutto: la pace, la terra, lo Stato palestinese, Gerusalemme. I deputati eletti dai coloni, che pure considerano Bibi un traditore, temono di non tornare mai più al governo, di essere cancellati dalla storia. Ieri notte, infatti, hanno tenuto frenetiche consultazioni per decidere se votare la piattaforma del primo ministro. Egli chiede come condizione, per procedere allo sgombero promesso dall'accordo di Wye, la cessazione di ogni violenza anche verbale nell'Autonomia palestinese, la fine della minaccia di dichiarare unilateralmente lo Stato palestinese il 4 maggio, ima riduzione delle forze di polizia, la raccolta delle armi illegali, e la fine della richiesta di rilasciare i membri di Hamas, o assassini condannati, dalle celle israeliane. Richieste di per sé non irragionevoli, ma impossibili da realizzare se non nel corso di un lungo processo politico, che di fatto rimanda il ritiro sine die. Comunque, i 52 membri dell'opposizione hanno bisogno di poche defezioni dal campo avverso per arrivare ai 61 parlamentari necessari per far cadere Netanyahu. Che Bibi sarà il candidato del Likud, sembra quasi sicuro. Ma c'è un'insidia interna: Yitzik Mordechay, il massiccio ministro della Difesa di origine curda, ima colomba che ieri non è andato alla riunione di gabinetto per manifestare il suo dissenso verso il mancato sgombero. Ma il più assediato all'interno non è Bibi, bensì il suo diretto antagonista, Ehud Barak, leader della sinistra, ex capo di stato maggiore. Sta vertiginosamente crescendo, infatti, in questi giorni, l'aspettativa verso Amnon Lipkin Shahak, l'ultimo ex capo di stato maggiore, che potrebbe guidare un terzo partito collocato al centro, oppure unirsi a Barak. Di lui la gente ricorda soprattutto quando, con il bel viso bagnato dal pianto, la camicia della divisa slacciata sul collo, prese la parola nel grande teatro di Tel Aviv per ricordare il suo amico e padre putativo Yitzhak Rabin. Shahak, che è chiamato «il principe del silenzio» perché da bravo militare non ha mai fatto sapere le sue visioni politiche o strategiche, in questi giorni si è incontrato ripetutamente con Barak. Quest'uomo, padre di cinque figli, sposato per la seconda volta con una vivacissima giornalista, Tali, impegnata nel movimento pacifista, può rubargli facilmente la scena. «Va bene - gli ha detto Shahak - mettiamoci pure insieme: ma chi ha le maggiori possibilità di battere Netanyahu diventi il capolista». Barak si è allora tirato indietro inorridito. E ha chiamato in gioco la sua piti fedele sostenitrice, Leali Rabin, che lo ha sempre considerato il delfino del marito. Nella ca¬ sa al settimo piano della periferia di Tel Aviv dove vive, la vedova di Rabin ha invitato i due sabato sera ad accendere le candele di Khanuchà, e li ha abbracciati: «Yitzhak vi amava molto ambedue. Prego il cielo perché possiate trovare un accordo». Ma Shahak, visto che i sondaggi gli danno il 50% dei consensi, anche se Leali gli è cara e la sinistra seguita a insistere che è facile bruciarsi essendo solo un soldato, ha annunciato già da domani le sue dimissioni dall'esercito. Davanti a lui la strada è libera. Il suo personaggio è disegnato: il guerriero della pace, l'erede del bell'I¬ sraele di Rabin. Ieri il ministro degli Esteri israeliano Ariel Sharon ha lanciato una proposta che seppellirebbe il processo di pace: un disegno di legge per l'annessione dei Tenitori della Cisgiordania e della striscia di Gaza ancora sotto il controllo dello Stato ebraico qualora Arafat proclamasse effettivamente lo Stato palestinese 0 4 maggio prossimo. Netanyahu ha demandato al consigliere giuridico dell'esecutivo di valutare la questione e preparare una bozza. Fiamma Nirenstein All'Aiip si chiede di rinunciare a parole ostili, indipendenza, armi polizia e rilascio di prigionieri Qui accanto il ministro degli Esteri Ariel Sharon e nella foto grande Amnon Lipkin Shahak, possibile candidato dei laburisti

Luoghi citati: Cisgiordania, Gerusalemme, Israele, Tel Aviv