Clinton; «Saddam, non è ancora finita» di Franco Pantarelli

Clinton; «Saddam, non è ancora finita» Washington è convinta di aver ridotto considerevolmente il potenziale militare iracheno Clinton; «Saddam, non è ancora finita» «Passato il Ramadan, valuteremo un nuovo attacco» NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Con gli attacchi contro l'Iraq è stata conseguita ima «vittoria», dicono Washington e Londra, ma evidentemente non una vittoria completa, visto che l'elemento principale dei loro commenti del «day after» è stato che altri attacchi potrebbero essere «necessari». Perfino il momento in cui quella eventuale necessità verrà valutata è stato indicato: sarà fra un mese, per dare il tempo al Ramadan di passare in modo da non «offendere» ulteriormente i Paesi arabi amici; per vedere se l'Iraq è disposto a lasciar lavorare «su nuove basi» gli ispettori dell'Orni e anche per vedere che possibilità ci sono di mettere in piedi un'opposizione irachena che - con tutto l'aiuto possibile - sia capace di rovesciare il regime di Saddam. Tutto questo è stato detto, se non con le stesse parole certamente con lo stesso spirito, sia da Madeleine Albright, il segretario di Stato americano, sia da Tony Blair, il primo ministro inglese che è sotto attacco da parte dei maggiori giornali del suo Paese per l'eccessivo «servilismo» mostrato nei confronti degli Stati Umti ed anche da parte di alcuni Paesi europei per la «unilateralità» della sua azione, del tutto staccata dal resto dell'Unione. «Ci riserviamo il diritto di usare ancora la forza», ha det- to la Albright; «Siamo pronti a colpire di nuovo», ha detto Blair. «Gli Usa manterranno una forte presenza militare nella regione», ha annunciato la Albright; «Manderemo una portaerei nel Golfo», ha annunciato Blair. La portaerei, con il poco fantasiono nome di «Invincible», sarà in zona per l'appunto fra un mese. Infine, al praticissimo «daremo un più attivo sostegno ai vari gruppi di opposizione iracheni» della Albright ha fatto eco un più alato «aiuteremo gli oppositori a sviluppare la loro visione di un Iraq migliore» di Blair. Ma se americani e inglesi con¬ siderano una vittoria l'aver «ridotto considerevolmente» il potenziale militare di Sadam Hussein e di avere colpito duramente la sua Guardia Repubblicana (questo è stato il principale scopo dell'ultimo attacco di sabato), anche l'Iraq ha trovato il modo di dichiarare la sua, di vittoria: il fatto che i bombardamenti siano finiti senza che Baghdad si sia «chinata» a promettere di far tornare gli ispettori dell'Onu, cosa su cui in fondo è nato tutto. Ora che le esigenze di propaganda sono finite gli iracheni ammettono anche i costi degli attacchi subiti. «Non abbiamo an¬ cora un bilancio definitivo ma mi dicono che i morti e i feriti si contano a migliaia», ha detto l'ambasciatore iracheno all'Onu, Nizar Hamdoon. Una cosa su cui l'ambasciatore è d'accordo con americani e inglesi è il fatto che le ispezioni avvengano su «nuove basi». Ma se per Washington e Londra ciò significa che Baghdad deve smetterla di «giocare al gatto e topo», per l'Iraq significa che Richard Butler, il capo degli ispettori reo di avere «cospirato con gli americani e fornito loro un pretesto per attaccare», deve essere licenziato. Anche la Russia ha detto aper¬ tamente che Butler se ne deve andare e per quanto se ne sa né la Cina, né la Francia, né lo stesso segretario generale dell'Onu Kofi Annan sono contenti di lui. Tutto questo, unito alla freddezza con cui l'iniziativa contro l'Iraq è stata accolta un po' in tutto il mondo (il Papa esprimendo la sua «tristezza» per le vittime non ha mancato di riferirsi alle «leggi internazionali»), induce a pensare che quando americani e inglesi dicono di voler lavorare con l'Onu per «forgiare mia nuova strategia» capace di «impostare relazioni stabili fra l'Iraq e la comunità internazionale», stanno solo preannunciando un difficile confronto che presto avrà luogo al Consiglio di Sicurezza. La Francia, per dire, ha già preannunciato un suo «piano» che ancora non si conosce, ma che nessuno immagina possa «piacere» ad americani e inglesi. «La verità - diceva ieri mi diplomatico del Palazzo di Vetro con mia certa brutalità (ragion per cui ha chiesto l'anonimato) - è che a loro ormai dell'Onu importa poco. Tutto ciò che vogliono, a questo punto, è deporre Saddam». Franco Pantarelli emddsvtFpdetp La portaerei inglese «Invincible» (fotografata nel canale di Suez) si dirige nel Golfo Persico dove si affiancherà alle navi americane. Nella foto piccola, il dittatore iracheno Saddam Hussein