Magistrati in crisi, si torna a votare di Giovanni Bianconi

Magistrati in crisi, si torna a votare Sciolto il «parlamentino» dell'Anni, non era mai successo in 40 anni. Nuove urne a febbraio Magistrati in crisi, si torna a votare Due mesi fa le dimissioni del neo-presidente Lo scontro è sulle linee di fondo da perseguire ROMA. C'è chi sostiene che furono loro, i «sindacalisti» dell'Associazione nazionale magistrati (con l'appoggio di Scalf'aro), ad affondare la Bicamerale. Vero o falso che sia, di certo c'è che oggi, passato il «pericolo» delle riforme costituzionali sulla giustizia, quel fronte compatto che rappresentava la magistratura nello scontro con la politica non c'è più. Dopo due mesi di crisi trascorsi senza presidente, il comitato direttivo centrale dell'Anni ha deciso di sciogliersi e di convocare le elezioni anticipate. Proprie come fanno i politici. Provate tutte le possibilità e le formule che solitamente risuonano in altri palazzi - «governo di minoranza», «giunta monocolore», eccetera - non è rimasto che mandare a casa il parlamentino dei giudici e tornare alle urne. Non era mai successo in quarant'anni di storia dell'Anni, è accaduto ieri con un voto a maggioranza - 13 sì, 12 no e 7 astensioni - che chiude una vicenda cominciata due mesi fa, quando era l'Italia che non aveva un governo e Massimo D'Alema stava lavorando per mettere in piedi il suo. Il presidente del Consiglio incaricato era alle prese con la lista dei ministri il giorno in cui il neo-eletto presidente dell'Anni - Mario Almerighi, della corrente dei «verdi», il centrosinistra dell'Anni - si vide pubblicare sul Cartiere della sera un'intervista contenente giudizi poco lusinghieri su certi politici della maggioranza e soprattutto una sorta di avvertimento a D'Alema: se il ministro della Giustizia non sarà un uomo del dialogo con la magistratura, il sindacato dei giudici darà battaglia. Parole lette come un inammissibile veto su alcuni nomi e un'illegittima intromissione nelle cose della politica. Almerighi smentì di aver detto quelle frasi, il giornale confermò, e il presidente dell'Anni si dimise a meno di quarantott'ore dalla sua elezione. Tutto poteva risolversi con la sostituzione di un altro esponente «verde» alla guida dell'Associazione, ma così non è andata, e si aprì la crisi precipitata ieri. La corrente di centro e di maggioranza dell'Anni infatti, Unità per la costituzione, approfittò dell'incidente e rivendicò per sé la presidenza. «Noi l'avevamo detto subito - spiega oggi Nino Abbate, leader della componente -; con Almerighi doveva finire il criterio della rotazione del vertice tra le correnti. Per lui votammo in cinque minuti, ma dopo le fibrilla¬ zioni seguite alla sua intervista non era più possibile proseguire con i vecchi criteri: il gruppo di maggioranza aveva il diritto di guidare l'associazione. E' un discorso chiaro e legittimo, gli altri si sono opposti e l'Anni ne esce a pezzi». Gli altri sono soprattutto le correnti della sinistra, i «verdi» e Magistratura democratica. Per loro il problema non era solo chi mandare alla presidenza, ma l'accordo politico di fondo sulle questioni rimaste sul tappeto: le riforme ordinarie promosse dal nuovo governo, per esempio, a cominciare dal giudice unico che il ministro Diliberto vuole far partire a tutti i costi il prossimo 2 giugno. «Noi siamo d'accordo c vogliamo che il governo faccia tutto il possibile per rispettare quella scadenza», dice Giovanni Salvi, fratello del senatore Cesare e membro del Cdc che s'è sciolto ieri. Su questo tema invece, così come sulla valutazione della professionalità dei magistrati, Unicost ha espresso una posizione che a sinistra è stata letta come un «no» secco, «e il nostro giudizio non poteva che essere negativo», dice il segretario di Md Borraccetti. «La verità continua Salvi, pm esperto di indagini su bombe e stragi - è che la vicenda Almerighi è stata il detonatore di un pacco esplosivo pronto da tempo, e cioè una diversità di vedute su questioni politiche di fondo che non poteva essere rimossa». Nella riunione di ieri s'è discusso di possibili giunte Mdverdi-Mi, oppure Unicost-MdMi, fino al «monocolore» Unicost guidato da Abbate, ma nessuna soluzione ha trovato la maggioranza dei voti. Alla fine, con un voto di scarto, s'è deciso lo scioglimento del Cdc: a favore il centro-sinistra, contro Unicost, astensione di Magistratura indipendente. «Sugli interessi della giustizia hanno prevalso le logiche di gruppo e corporative», commenta il presidente di Mi Antonello Mura. Si riferisce a «verdi» e Unicost che però negano di aver voluto loro la rottura e le elezioni e si accusano a vicenda. Per il loro parlamentino, i magistrati torneranno a votare il 7, 8 e 9 febbraio. Giovanni Bianconi La corrente di centro accusa le liste di sinistra e «verdi»: prevalgono le logiche di gruppo e corporative A sinistra Elena Paciotti In alto l'ex presidente dell'Anni Mario Almerighi

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