«Il mio Iraq, 7 anni fa» di Daniela Daniele
«Il mio Iraq, 7 anni fa» «Il mio Iraq, 7 anni fa» / ricordi di un prigioniero IL COMANDANTE COCCIOLONE ROMA I N questi armi, dopo l'esperienza Wa in Iraq, ò stato anche in missione nella Bosnia: 1600 ore di volo, per fare, come dice, «il mio lavoro di portatore di pace». Maurizio CoccioIone, oggi comandante del 72° Gruppo IT (Intercettori Teleguidati), aveva gli occhi fissi, come tutti, alla tv, mercoledì notte. Ha riprovato, forse, il panico di quel momento terribile, mentre il suo Tornado precipitava. Si è ritrovato a fare i conti ancora con Desert Storm: anno 1991. Comandante Cocciolone, il suo primo pensiero davanti alla diretta tv dell'attacco all'Iraq? «Non è slato piacevole. Non ho fatto altro che rivangare quei giorni. Rivedo le immagini di tutta quella povera gente e continuo a chiedermi che cosa abbia mai fatto per meritarsi tutto questo, ma soprattutto, per dover subire una dittatura che non offre spazio alle soluzioni diplomatiche». Che cosa ricorda, con maggiore intensità, del popolo iracheno? «Quando vediamo Baghdad in tv, ci sembra una città bellissima. E lo è, senza dubbio. Ma appena si esce dalle sue mura, verso la Giordania, come ho fatto io dopo la liberazione, ci si imbatte nella miseria di gente che vive in condizioni davvero terribili; e posso immaginare che adesso, con l'embargo, siano anche peggiorate. Queste scene, in tv, non si vedono. Io me le porto dentro». Le è capitato di sognare quei brutti momenti? «Sì, soprattutto all'inizio. Sobbalzavo nel sonno, mia moglie ne restava turbata». Sarebbe ancora disponibile per una missione come quella? «Se rispondessi "no" farei un torto a me stesso e all'Aeronautica. Non dovrei far altro che andarmene, se rispondessi così. Missioni del genere sono il mio, il nostro lavoro. Noi siamo sempre un po' soldati e un po' aviatori, anche se la gente tende a vederci soprattutto come soldati. Prima, durante la guerra fredda, eravamo custodi di pace. Poi, siamo diventati "portatori" di pace. Come è successo in Bosnia». Che impressione s'era fatta del carattere degli iracheni? «Lo sentivo e lo sento molto vicino al nostro Ha molti tratti comuni a quelli della gente del Mediterraneo. L'avevo notato anche prima della Guerra del Golfo, quando ebbi a che fare con piloti iracheni in basi di addestramento. Il loro carattere l'ho sperimentato anche durante la mia prigionia, quando ci furono momenti molto toccanti da parte di due miei carcerieri». Ce li può raccontare? «No, scusatemi. Appartengono alla mia sfera personale. Ma posso dire che quei ragazzi mi dimostrarono vera solidarietà, anche se si trovavano sotto le nostre bombe. Ho avuto l'impressione di un popolo che ca¬ pisce bene quello che sta succedendo e ha piena coscienza di chi sia la colpa, ma non è in grado di fare nulla per uscirne». Ha mai pensato, mentre era prigioniero, che non avrebbe più rivisto la sua famiglia? «Ne ero praticamente certo. Come ho fatto a reagire? Con i mille appigli che la psiche riesce a mettere in atto quando si vive un pericolo grande. E sono tornato. Ho riabbracciato i miei. Ho sposato la mia fidanzata e ora ho due bambini, Andrea Silvia, di 6 anni e Alessandro, di 5. Sono tutta la mia vita». Daniela Daniele «Due dei miei carcerieri mi dimostrarono vera solidarietà anche se si trovavano sotto le nostre bombe» Maurizio Cocciolone
Persone citate: Andrea Silvia, Cocciolone, Desert Storm, Maurizio Cocciolone
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