«L'impeachment è servito solo alle trame irachene»

«L'impeachment è servito solo alle trame irachene» «L'impeachment è servito solo alle trame irachene» L'AMBASCIATORE BARTHOLOMEW EL 1991, quando scoppiò la Guerra del Golfo, Reginald Bartholomew era sottosegretario di Stato. In precedenza era stato ambasciatore a Beirut, Madrid e alla Nato. Nel 1993 il nuovo presidente Bill Clinton lo nominò ambasciatore a Roma. Bartholomew è oggi vicepresidente della banca d'affari Merrill Lynch. Si occupa di Europa, Medio Oriente ed Italia. Ha casa a Roma, conosce bene i politici e gli industriali del nostro Paese. Analista di affari internazionali fra i più stimati al mondo, Bartholomew è un americano vero, competente, simpatico e duro. Ambasciatore, lei è un amico di Clinton, come vive questo difficile momento? «Sono molto triste per quel che sta. .avvenendo. E soprattutto per una cosa...». ms• m><■■ Quale? «Questa mescolanza di guerra e ■^dj^rpcedura per 4'iBM>eachrriént. won è la prima' vòlta che in America si vota per l'impeachment. Ma non è mai successo che tutto ciò si mescolasse con una azione militare». I soldati vanno al fronte, il Preisidente li guida nella battaglia e i politici di Washington gli sparano alle spalle, come ai tempi della guerra del Vietnam. E' la crisi del modello bipartisan in politica estera, non le sembra così? «No. Non è la stessa cosa del Vietnam. Questa è una vicenda sui generis. Il Vietnam era davvero un altro affare». Al Presidente è mancato il sostegno degli avversari repubblicani ma anche la solidarietà di alcuni alleati europei. Si è parlato di solitudine dell'America. Non pensa che se non ci fosse stata la questione dell'impeachment Bill Clinton avrebbe avuto maggiore credibilità e maggiore capacità di convincimento? Molti sospettano che Clinton abbia voluto attaccare l'Iraq per distogliere l'attenzione dal Sexgate... «Chi ha di questi sospetti, invece di analizzare il comportamento di Clinton farebbe bene ad occuparsi di quello di Saddam. Capire in quale misura l'impeachment abbia convinto Saddam ad essere così duro con gli ispettori dell'Unscom, impedendo loro ogni accesso alle carte e ai siti sospetti. Comunque non credo che la tempistica dell'impeachment abbia qualche rilevanza nella decisione americana di attaccare o nell'atteggiamento di alcuni Paesi europei». E' indubbio però che non vi è stata attorno all'America la stessa solidarietà del '90-91, dei tempi di Desert shield e di Desert storm... «Allora era tutto più chiaro. Saddam aveva invaso il Kuwait. Oggi la situazione è più difficile da comprendere. Ma se da parte di qualcuno c'è opposizione e reticenza all'intervento americano e inglese contro l'Iraq, dall'altra vi sono Paesi come la Spagna e la Germania che lo hanno sostenuto, avendo ben chiaro tutto lo svolgersi della vicenda che ha portato dalla fine della guerra ai nostri giorni». E come si è svolta questa vicenda secondo la sua interpretazione? «Dal 1991, Saddam ha sempre cercato di rimettere in piedi le attrezzature per produrre armi chimiche, nucleari, batteriologiche e i vettori necessari a raggiungere gli obiettivi. C'è sempre stato consenso nel Consiglio di sicurezza dell'Orni e fra i nostri alleati su come fermare l'Iraq, attraverso la distruzione delle armi e le sanzioni. Fino al 1996 gli uomini dell'Unscom hanno potuto lavorare bene in Iraq. Poi, di colpo, Saddam ha cominciato ad ostacolare sempre di più il loro lavoro, sino ad impedirlo totalmente. Con grande pazienza, per sette anni, abbiamo sopportato i piccoli trucchi e le lungaggini dell'Iraq, abbiamo continuato con le regole del dialogo e della politica. Poi all'inizio dell'autunno vi è stata l'ultima grave crisi. I B-52 erano già in volo quando Saddam ha preso l'impegno, con una lettera a Kofi Annan, di essere pronto ad accettare totalmente le condizioni poste dalla comunità internazionale. Gli Usa e la Gran Bretagna rinunciarono allora alla opzione militare. Ma Saddam non ha mantenuto nessuna delle sue promesse e dopo il rapporto negativo di Butler l'America è passata all'azione insieme con gli inglesi». C'è chi dice che sarebbe stato meglio non far parla¬ re le armi e cercare una soluzione politica... «Era inutile fare per l'ennesima volta il gioco del rinvio di Saddam. Tutto ciò avrebbe diminuito del tutto la credibilità dell'Onu, delle sue risoluzioni, degli accordi fatti in novembre. Allora ci fu consenso all'Orni sulla necessità di un intervento militare nel caso in cui Saddam avesse di nuovo violato i suoi impegni. Fu scelto di fare l'ultimo sforzo, dopo di che non restava che l'opzione militare». Alcuni alleati si lamentano di non essere stati consultati, informati... «Il piano era già pronto dal 15 novembre. Bisogna agire subito, giocando sull'effetto sorpresa. Del resto già in novem¬ bre Clinton e Blair dissero che se Saddam non fosse stato di parola ci sarebbe stato un attacco senza preavviso e senza nessuna trattativa diplomatica. Questo gli alleati lo sapevano. Non capisco la meraviglia di alcuni. Con la sorpresa si difendono meglio le proprie forze ed il colpo è più efficace». Alcuni alleati, ma anche la Russia e la Cina, dicono che queste iniziative militari debbano essere prese solo dopo l'autorizzazione dell'Onu. «So che alcuni pensano che in casi del genere non si possa usare la forza senza il consenso dell'Onu. Chi segue questa idea ritiene di poter fare dell'Onu una specie di super governo mondiale. Mi sembra un concetto sbagliato. Un'Onu cosi non è neppure immaginabile». C'è chi accusa l'America di voler fare lo sceriffo del mondo che va a caccia dei cattivi... «Ma ci sono altri che temono la eventualità di un nuovo isolazionismo americano. Ci sarebbe molto più da preoccuparsi per questo secondo aspetto della questione. E poi mi lasci dire una cosa. Distruggendo le armi e le fabbriche di armi di Saddam abbiamo fatto anche l'interesse dei nostri alleati. 1 missili a media gittata di Saddam potrebbero colpire anche l'Europa. E una crisi nelle zone di produzione del petrolio danneggerebbe non solo noi ma anche l'Europa e il Giappone. E l'America è molto interessata a mantenere la potenza economica dei suoi alleati europei e giapponese. Ma detto questo gli americani pensano, come lo penserebbe ogni nazione, che in fin dei conti hanno la responsabilità di decidere quali sono i loro interessi nazionali e quando si debbono difendere». Ritiene che queste divergenze con l'Europa e questa crisi con la Russia siano risolvibili? «Certo che si risolveranno in fretta. Perché abbiamo enormi interessi che ci legano. Della Russia mi preoccupa solo che la Duma chieda il blocco della firma del trattato Start-2». In Italia e in Europa c'è in questi giorni un certo rigurgito di anti americanismo. Ne è spaventato? «Mi sembra un fatto del tutto insignificante. La guerra fredda è finita. Il rapporto fra l'America e l'Europa non viene certo messo a repentaglio da questi elementi di diffidenza. Siamo amici e lo resteremo». Carlo Rossella Non è la prima volta che l'America mette sotto accusa un Presidente ma mai era successo che questo si mescolasse con un 'azione militare J J| Cercare una soluzione politica voleva dire fare il gioco di Saddam p j L'Onucome supergoverno mondiale non può esistere^ Allo scoppio della Guerra del Golfo, l'ambasciatore Reginald Bartholomew era sottosegretario di Stato