Dna, il rifiuto del test è prova di paternità

Dna, il rifiuto del test è prova di paternità La Corte di Cassazione Dna, il rifiuto del test è prova di paternità ROMA. La Cassazione amplia le prove a favore delle ragazze madri e dei figli naturali. Nelle cause per il riconoscimento di paternità, stabilisce la suprema corte, il comportamento processuale del presunto padre può essere una prova da sola sufficiente affinché il giudice dichiari la fondatezza della richiesta della donna. Specie se lei per «condizionamenti ambientali» che ci sono nei piccoli paesi elemento da non sottovalutare non riesce a suffragare con testimoni il fatto di aver avuto una relazione sentimentale con un compaesano che, senza addurre motivi, si sottrae alla prova del Dna. Il principio è stato affermato dai supremi giudici su richiesta di Iride C, alla quale la corte di appello di Catanzaro aveva negato l'accertamento di paternità nei confronti di Raffaele D. L. - con il quale sarebbe intercorsa una relazione in un paesino calabrese - motivandolo con la mancanza di prove. Ma secondo la Suprema Corte il caso deve essere riaperto perché «la fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, comprese le ragioni del rifiuto di eventuali esami immuno-ematologici, non tralasciando di considerare anche il contesto sociale della vicenda agli effetti di una maggiore difficoltà nel reperire testimonianze». [Ansai Un papà col figlio Un papà col figlio

Persone citate: Raffaele D. L.

Luoghi citati: Catanzaro, Roma