« Siamo esacerbati » di Renato Rizzo
« Siamo esacerbati » « Siamo esacerbati » 7/ Colle: qui prevale solo il diritto del più forte ROMA. «Le armi tacciano, anche per impedire vittime innocenti ed inutili distruzioni»: Oscar Luigi Scalfaro amplifica di fronte a tutti gli ambasciatori del mondo accreditati nel nostro Paese, il «no» del governo al raid anglo-americano sull'Iraq. «Oggi 0 nostro animo è esacerbato», sillaba nell'immenso Salone dei Corazzieri. E il giorno che era dedicato allo scambio degli auguri diventa tribuna per accusare chi impone le proprie ragioni «soltanto perché è più forte». Il Presidente non usa il termine «condanna» che, all'interno dell'esecutivo qualcuno avrebbe voluto ascoltare da D'Alema, ma il senso e la forza del suo intervento sono sintonizzati su quel concetto: «Le armi hanno invaso lo spazio che dovrebbe essere aperto esclusivamente al dialogo e alle decisioni del Consiglio di Sicurezza, come supremo garante di componimento per ogni controversia internazionale». Si schiera con Kofi Annan che parla di «triste giorno per l'Onu», il Capo dello Stato. E individua nella «giustizia negata» la causa dominante che «ferisce e minaccia di uccidere la pace». Rimbalza, in questa mattina di apprensione e di rabbia, l'eco di quanto il Presidente ha detto durante la recente visita di Stato in Australia, condannando i soprusi di chi trasforma la propria potenza in «prepotenza»: gli Stati Uniti, da soli, non bastano a garantire la pace nel mondo; oggi l'umanità, per essere guidata secondo principi di «equità e giustizia», ha «bisogno che di grandi potenze ce ne sia più d'una». Certo, guardando alla guerra che incendia il Golfo, Scalfaro non può trascurare le colpe dell'Iraq, il suo atteggiamento nei confronti degli ispettori dell'Onu: parte da queste considerazioni «il pressante invito affinché i doveri vengano adempiuti con assoluta lealtà». Ma subito il discorso torna a focalizzarsi su quelle anni che rubano lo spazio al dialogo. Il Presidente cita un'altra «giustizia negata»: quella che, per decisione dei potenti, «non si piega sull'umana sofferenza, non fa il doveroso sforzo di pensare soprattutto alla gente che dall'ingiustizia è travolta e distrutta». Parole dietro alle quali s'intravede il popolo iracheno, vessato da un regime che D'Alema ha definito «inumano» e costretto a subire la tragedia dei bombardamenti. No, di fronte a questi scenari non si può far finta di nulla; non è giusto che «chi può impedire il peggio o difendere il debole stia solo a guardare per non compromettersi». Ecco l'avallo e la difesa delle scelte di campo del governo: è la nostra stessa Costituzione a precisare che l'Italia «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Una ostinata ricerca della pace che Scalfaro orgogliosamente rivendica come filo conduttore dei suoi tanti e preoccupati interventi in tema di politica estera. Scruta l'incandescente scacchiera del mondo di questi anni: «I tempi tumultuosi» dell'ex Jugoslavia, le apprensioni per la Cecenia, le tensioni del Kosovo, sino a giungere alla «tormentata» situazione del Corno d'Africa. Il mondo ha bisogno e voglia di giustizia. E' un anelito che la società civile deve ascoltare non solo in questi giorni accesi dalla guerra: il Quirinale ancora una volta indica come obbligo morale aprirsi quanto più possibile alla comprensione delle sventure di profughi ed emigranti: «Dobbiamo accoglierli nella misura in cui le nostre norme e le nostre possibilità lo consentono». Renato Rizzo
Persone citate: D'alema, Kofi Annan, Oscar Luigi Scalfaro, Scalfaro
Luoghi citati: Australia, Cecenia, Iraq, Italia, Jugoslavia, Kosovo, Roma, Stati Uniti
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