Sgangherati davanti alla storio di Gabriele Romagnoli

Sgangherati davanti alla storio Sgangherati davanti alla storio ggInsulti e colpi bassi in aula, addio solennità ' «Oggi ho paura per l'America» (Martin Meehan, deputate del Massachusetts) NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Mezzogiorno di fuoco. Oggi alle dodici la sparatoria tra democratici e repubblicani avrà il finale scontato: lo sceriffo del mondo, il Presidente degli Stati Uniti, verrà condotto, ferito, davanti al plotone di esecuzione del Senato, perché lo fucili a mezzo processo. Quello che accadrà, da lì in avanti, è imprevedibile futuro. Noi siamo a prendere nota di un inconcepibile presente, fatto di scazzottature tra bande rivali, insulti nei corridoi e vuoti in aula, cravatte natalizie e camicie di riserva, citazioni di Lincoln e dei padri fondatori buone per tutti gli usi, morali a doppio taglio, retorica da sagra paesana, rancore e ipocrisia. Washington, provincia di Montecitorio. Con la ferocia di un tribunale di Baghdad, il Congresso americano ha avviato la caccia all'Infedele. Ma è con la rozzezza di un'aula parlamentare italiana che vi ha dato corso. Mancava, ai repubblicani, solo il cappio dei leghisti. Non mancava, ai democratici, il vittimismo complottista dei fu-comunisti. Mancava, agli uni e agli altri, il senso della storia e del momento. Qui e ora si decidono i destini al vertice di un Paese che guida il mondo e, quando vuole, manda i propri aerei a sganciare bombe in Afghanistan, Sudan o Iraq ed ecco i suoi rappresentanti avanzare con una bella serie di cravatte natalizie «per rallegrare l'atmosfera», segretarie al seguito che portano la camicia di ricambio «perché sarà lunga», biglietti in tasca con la stessa citazione che sarà usata per colpire Clinton o difenderlo. Eccoli dividersi su due sponde opposte, separate non da una diversa visione etica o giuridica, ma dalla bieca convenienza politica, guardarsi in cagnesco e assaltarsi, prima a spinte, poi a colpi in faccia, come scolaresche indisciplinate. C'è un deputato repubblicano di nome Thomas Davis, dalla Virginia, che, confessa, stamattina avrebbe preferito non alzarsi dal letto. E c'è, invece, un uomo di nome Jim McBride che è venuto dal New Jersey ed era davanti al portone alle sette, per poter assistere al «corso della storia», vedere l'impeachment con i propri occhi e auspicare, dopo Clinton, «una miglior classe dirigente». Difficile da immaginare, se dovrà comunque uscire da questa aula, il cui presidente, Ray LaHood, invita tutti a evitare attacchi personali e riferimenti privati, non solo a Clinton, ma anche a altri personaggi pubblici, ricevendo bordate di fischi, perché i democratici avrebbero volentieri discusso le relazioni extra-coniugali del repubblicano Livingston, alla faccia del loro leader, Dick Gephardt e della sua invocazione: «Basta con la politica insozza e sfregia!». Che cosa altro stanno facendo nei corridoi i suoi colleghi di ambo le parti? Che cosa hanno fatto negli ultimi decenni? Che cosa faranno nei prossimi mesi? Guardate Henry Hyde, l'uomo che ha guidato la commissione d'inchiesta, il primo a entrare in aula, solo al suo banco, con il fascicolo che ne riassume il lavoro e la coscienza che ne racchiude il suo passato. Era considerato un personaggio equilibrato, capace di mettere la legge da- vanti a ogni cosa e di parlare con franchezza. Poi gli hanno tirato fuori la storia dell'estetista di Chicago con la quale se la spassò per cinque anni ed è diventato un bacchettone astioso e incomprensibile. Ci sono aerei americani che bombardano nei lontani domini di un satrapo, ma non è una guerra seria. Neppure quella che viene evocata in questa sala. I repubblicani sono accusati di trascurare le urgenze militari, avendo preteso il dibattito durante il raid iracheno? Eccoli esibire le cicatrici del senatore texano Sam Johnson. Lei sa qualcosa della guerra? Domanda Hyde. «Vietnam. E Corea, se posso aggiungere». E della prigionia? «Sette anni un un campo ad Hanoi, da solo». Che cosa difendeva? «Come tutti i soldati: la Costituzione sulla quale avevo giurato e quando uno giura...». La risposta democratica è Tom Lantos, immigrato ungherese che da ragazzino subì persecuzioni naziste e passa il segno paragonando l'impossibilità di votare la censura a un divieto hitleriano. Circola apertamente l'espressione «colpo di Stato», appaiono lavagne su cui si disegnano schemi per i deputati e gli spettatori meno intelligenti, si formulano giochi di parole («La legge è sovrana, il sovrano non è legge»), si citano, a sproposito e in ordine sparso: Martin Luther King, George Washington alla vigilia della battaglia e la Costituzione. Ma gli scranni sono, in larga parte, vuoti. E chi è in aula si distrae, parla, gesticola, fa chiasso, obbligando il presidente-maestro a chiedere contegno. La battaglia è altrove ed è già stata combattuta: Clinton e i suoi l'hanno perduta, i repubblicani moderati non hanno pensato con la loro testa, ma si sono pie¬ gati ai colpi di Tom «Martello» DeLay. Solo quattro di loro sono rimasti eretti, nelle posizioni iniziali, compensati da qualche democratico pronto a pugnalare il Presidente. L'impeachment scatterà, per la seconda volta nella storia degli Stati Uniti, il 19 dicembre del 1998. Il 6 gennaio si aprirà il processo al Senato. Prima ancora del voto, DeLay annunciava già la data della prossima battaglia. La guerra è ancora lunga, perché Clinton non si arrenderà finché non l'avranno abbattuto, se ne saranno capaci. Non sarà uno scontro fra titani. Non ci saranno in ballo ideali e principi. E' una lotta di potere, l'attesa vendetta di una fazione contro l'uomo che più ha odiato. Già ora, lo hanno screditato senza rimedio. Aveva buon gioco il deputato Tom Campbell, dicendo: «Se il segretario di Stato mi dice che abbiamo attaccato l'Iraq perché era il momento giusto per farlo e non per secondi fini, gli credo. Se lo dice il Presidente, no. Lui non ha più la mia fiducia». Ci vuole altrettanta incoscienza per concederla a quelli che lo incrimineranno. Gabriele Romagnoli Gli scranni sono in larga parte vuoti Chi è in aula parla e fa chiasso, lo speaker è costretto a continui richiami Fischiato lo speaker che chiede di evitare attacchi personali I democratici avevano un elenco di ritorsioni LA RISSA TRA I BANCHI