Baghdad, le notti insonni nella capitale della paura di Mimmo Candito

Baghdad, le notti insonni nella capitale della paura Baghdad, le notti insonni nella capitale della paura e so io ne BAGHDAD DAL NOSTRO INVIATO L'allarme qui suona non appena i radar hanno colto la presenza di un segnale nello spazio aereo dell'Iraq, e però non sempre poi il missile o il bombardiere punta effettivamente su Baghdad. E così è stato per quel primo allarme, l'attacco se ne stava andando sulle raffinerie di Bassora, a Sud dell'Iraq. Ma quando poi è arrivato il secondo allarme, e poi il terzo ed erano ormai le dieci (le otto della sera in Italia), allora è stato come se tutti i cani di questo mondo si fossero chiamati a convegno quaggiù e si fossero uniti ad abbaiare il loro concerto disperato verso il cielo senza Luna. L'attacco arriva sempre ad ondate continue. Non si è nemmeno attutita l'eco del primo raid, con le fiammate che si accendono improvvise dalle strade della città, punteggiando l'orizzonte di fuochi abbaglianti, e già la sirena urla il suo nuovo allarme. Per qualche breve attimo il silenzio che lo segue gela l'aria, la vita blocca all'improvviso il respiro della notte; poi, subito, comincia il fuoco di sbarramento della contraerea, un muro di colpi che il filo rosso dei traccianti segna a zigzag nello sfondo nero del cielo. Bombe e traccianti si inseguono dentro il nulla, in un gioco di scie luminose che sembra anticipare quaggiù la notte di Natale. Era già accaduto a gennaio di otto anni fa, quando cominciò l'attacco del Desert Storni che generò la madre di tutte le battaglie. Fu la notte delle stelle verdi, le immagini della Cnn la consegnarono per sempre alla storia del nostro tempo come l'icona che segnava la nascita drammatica di un mondo nuovo. Quell'icona, alla fine, segnò soltanto la nascita di una nuova illusione, perché ora siamo nuovamente qui a Baghdad a raccontare la continuazione (l'ultima tappa?) di quella stessa storia che dalla notte di otto anni fa non si è mai chiusa. E ieri è stato ancora peggio, che in quella notte. «Mister, giuro che mi trema il cuore come mai prima», diceva Fakr sotto le bombe che illuminavano la notte. Qui sono tre notti che nessuno dorme. Baghdad è ormai una città con gli occhi rossi, cisposi, di chi il sonno l'ha perso per strada e non lo ritrova più. E' anche una città a suo modo rassegnata, che si chiude in casa e tace, e forse prega anche, mentre la terra trema come se dovesse aprirsi. Da otto anni la gente dell'Iraq aspetta che la guerra del Golfo finalmente termini. E quando per otto anni te ne stai con il naso in aria a guardare se nel cielo spunta l'ala della morte, otto anni giorno dopo giorno, allora anche la paura più cieca si fa sottomissione al destino, mia sorta di fatalismo rinunciatario che accetta tutto, pure l'arrivo possibile della morte dal cielo. Quest'angoscia, però, è difficDe da scoprire. Dietro la rassegnazione apparente e dietro i silenzi della città, ogni indagine si fa complicata, incerta, anche ambigua. In gùo per le strade, anche la scoperta dei danni fatti dalle bombe e dai razzi diventa un itinerario avventuroso, dove muoverti senza aiuti; anzi, dove le fonti ufficiali danno una buona mano a depistarti, per tenerti lontano dalle caserme colpite e dagli uffici militari distrutti. Baghdad, comunque, non ha davvero nulla da paragonare a Dresda: le tonnellate di bombe che vengono giù hanno obiettivi mirati, bersagli specifici, che vengono abbattuti con una capacità di contenimento dei danni sorprendente se commisurata alla forza distruttiva dell'esplosione. Naturalmente, accade anche che le bombe intelligenti si rivelino poi soltanto stupide e colpiscano dove non dovrebbero (nella guerra del Golfo pare che la loro intelligenza si manifestasse soltanto nel dieci per cento dei lanci; oggi, a giudicare dagli edifici distrutti, la percentuale sembra molto più alta). Comunque, anche quando abbattono il loro bersaglio, finisce poi che ne resti travolto anche chi con i militari non ha nulla a che fare: ieri l'ospedale Saddam Hussein, il più grande dell'Iraq, ha avuto vetri e porte distrutte dal missile che ha abbattuto un vicino edificio militare. Tre anziani pazienti sono morti per un attacco di cuore, «li ha uccisi la paura» dice il direttore dottor Rabbi Al Feridi. Il conto ufficiale delle vittime è, ancora, sorprendentemente basso: sono stati segnalati venticinque morti e settantacinque feriti; però, a giudicare dai danni visti in giro per la città, il conto vero, quando alla fine lo si farà, mostrerà cifre as¬ sai più amare. Il palazzo dei servizi segreti militari, il palazzo dei servizi di sicurezza, il palazzo dell'industria militare, il palazzo del partito di regime, lo stesso palazzo del Presidente, sono stati attaccati e colpiti con estrema durezza; attaccati e colpiti con altrettanta durezza sono anche gli acquartieramenti militari della Guardia Repubblicana e dei Corpi Speciali, la vera spina dorsale di questo potere. E in giro, un occhio sveglio non tarderà a riconoscere la mimetizzazione, sotto la paglia, di carri armati e di elicotteri d'attacco con le ali ripiegate. La rassegnazione, che è la faccia apparente della città, potrebbe nascondere tensioni che ancora nessuno sa misurare. Ieri, per qualche ora, si è detto che mi gruppo armato aveva attaccato il palazzo della televisione, ma ne era stato respinto dalla milizia popolare. In effetti lo schermo della tv è rimasto spento a lungo, come se il suo silenzio cieco confermasse la notizia. Però poi le trasmissioni sono riprese, anche se con qualche difficoltà tecnica forse sospetta. Comunque, a parte l'ipotesi di questo improbabile sabotaggio, quello che è certo è che le bombe anglo-americane hanno danneggiato le installazioni della radio e della televisione: tanto che un messaggio che ieri Saddam Hussein ha mandato «al popolo iracheno» è stato trasmesso prima dalla Cnn, e soltanto più tardi dalla tv irachena. Saddam ha ringraziato il suo popolo «per il coraggio dimostrato», e gli ha assicurato una pronta vitto- ria nel nome di Allah. «Il nostro Paese trionferà insieme ai Paesi fratelli», ha detto. Ieri era venerdì, che per i musulmani vale come la domenica dei cristiani, e le moschee di Baghdad si sono riempite fin nella strada, fin sui piazzali, le scalinate, anche i marciapiedi. In Iraq non si ò mai certi della spontaneità dei comportamenti collettivi, il controllo poliziesco è totale, assoluto, asfissiante; però, ugualmente, non è difficile pensare che gli attacchi di questi giorni abbiano segnato un ricompattamento della società civile con il regime, in una spinta nazionalista che fa dimenticare le sofferenze di questi anni, la fame inusuale, la miseria disperata di tutti. E nella gente delle moschee c'era di sicuro anche questa spinta. Gli ùnam l'hanno gridata durante la loro preghiera più importante, quella del mezzogiorno: nel silenzio della città vuota, quelle parole pronunciate con tono ieratico, con voce ispirata, volavano dentro le strade deserte portate dalla tromba degli altoparlanti come un filo che si dipanava sui tetti delle case, sulla testa della gente, sulle loro paure, sulle angosce, sulla vita disperata di queste notti che non hanno sonno. «Questa è la guerra santa dell'Islam», gridava l'imam della grande moschea, Abdullah Garuf. «Questa è la guerra che il Satana americano ha scatenato contro tutti i figli del Signore Aliali. Ma noi vinceremo». Domani comincia il Ramadan, che è il mese sacro dei musulmani. Pare difficile che l'attacco angloamericano possa continuare al di là della notte che sta per arrivare, perché - nella sua blasfemia - verrebbe considerato come un'offesa imperdonabile dall'intero mondo dei credenti di Allah, in ogni angolo dell'Islam, in Iraq e però anche in Egitto e in Arabia Saudita (Paesi, questi due, che pure sono alleati strategici di Washington). Ma se davvero l'attacco terminerà questa notte, l'ipotesi che tutta l'operazione Desert Fox sia stata lanciata per creare ima spaccatura - o accentuarla comunque - fra Saddam Hussein e il suo Paese sembra assolutamente folle ; anzi, pare assai più credibile un risultato contrario. Soltanto una «battaglia di Baghdad» prolungata nel tempo potrebbe sperare di raggiungere l'obiettivo di provocare tanta stanchezza da mobilitare una opposizione; però questa guerra lunga distruggerebbe anche gli alleati arabi di Washington, e il costo pare troppo elevato anche per il più sconsiderato dei politici. La vita di Baghdad comunque va avanti nella sua impossibile normalità. Al cinema Babel ieri davano «Tre ragazze e un giovanotto». Sembrava un venerdì come tanti, se non fosse stato per quel silenzio irreale, quelle strade vuote, quegli occhi cisposi di sonno. Ma dalle ambasciate e dagli uffici diplomatici . partivano notizie drammatiche, si parlava di una notte terribile, che avrebbe spazzato ogni resistenza. E cominciavano consultazioni febbrili, pareva che stesse scattando l'ordine immediato dell'evacuzione. Diplomatici e giornalisti si trovavano a fare anch'essi la guerra, a rischiare di essere strumenti nelle mani delle Cancellerie delle grandi potenze; e la notte se ne andava nell'angoscia e nel dubbio. Una guerra che viene dal cielo si sta mangiando tutte le notti di Baghdad, ma oggi è un altro giorno e non c'è ragione per non sperare. Mimmo Candito II delle numero vittime sembra basso ma il bilancio si farà alla fine

Persone citate: Abdullah Garuf, Babel, Saddam Hussein