Dolce vita di fine secolo di Lietta Tornabuoni

Dolce vita di fine secolo Dolce vita di fine secolo Una commedia brillante tra sesso e mode UN giornalista giovane, mediocre, frustrato, piacevole, con vaghe velleità di scrittore, con una brutta vita amorosa intricata e una splendida spyder, attraversa quella capitale del mondo che è New York incontrandone i ricchi e i famosi, gli squallori e le enormità, il cinismo e l'amoralità, la stravaganza, guardando tutto con curiosità, ironia, compassione: Woody Alien avrebbe fatto con «Celebrity» una sua «Dolce vita»? Più che analizzare infatti il fenomeno della celebrità stupida in America, il modo dissennato e immotivato con cui si forma oggi la notorietà, il film è una commedia di costumi contemporanei in cui la città e i cittadini amati da Alien, New York e i newyorkesi, hanno perduto l'incanto, la magìa, il glamour, l'illusione di grazia e d'eleganza, mostrando invece tutta la propria pochezza nella crudele fotografia in bianco e nero di Sven Nykvist. Ma che divertimento. Nel cielo campeggia tracciata col fumo la scritta Help, aiuto, e mi regista spiega a una diva che deve semplicemente attraversare la strada: «Voglio vedere l'essenza della condizione umana, capisci?». Intervistata, la diva risale all'origi¬ ne della propria vocazione («Da ragazzina stavo sul letto nuda sentendomi crescere, sperando che il petto e le gambe mi venissero belli così avrei potuto fare l'attrice»), rifiuta di fare l'amore col giornalista («il mio corpo è di mio marito»), ma «quello che faccio dal collo in su è un'altra cosa», e rieccoci al sesso orale. Una mesperta prende lezioni della specialità da una prostituta, usando banane come ausilio didattico: la prima azzanna la banana con morso assassino, la seconda rischia di venirne soffocata. Una bellissima modella si dà arie: «Sono polimorficamente perversa, dovunque mi si tocchi divento orgasmica». Una sfilata di moda si riduce a un succedersi di mutande e reggipetti, con l'attenzione di spettatori, cameramen e fotografi concentrata sul sedere delle modelle. Il divo ragazzo Leonardo DiCaprio (bravissimo), pazzo di cocaina urla insulti, minaccia, malmena la sua ragazza, mette sottosopra la sua stanza d'albergo, quasi si fa arrestare, corre in aereo a vedere un match di boxe, passa a giocare a dadi al Casinò, non si ferma più. Il dottor Lupus, illustre chirurgo estetico, visita in un minuto signore che hanno aspettato otto mesi per vederlo. Un architetto ha progettato, come edificio in una cittadina del Kansas, un pene di otto piani. Negli studi televisivi si mescolano (come in «Ginger e Fred» di Fellini), obesi, rabbini, boss mafiosi, skinheads, ex sequestrati. «Elaine's», il locale preferito dal regista, è la sede d'una riunione letteraria di cretini. Progetti: «Un musical sul Ku Klux Klan, tutto al femminile». Star: un parrucchiere. Lamenti: «Ero un'insegnante e adesso, per una serie di eventi tumultuosi, sono il tipo di donna che ho sempre odiato». Help, aiuto, ripete alla fine la scritta di fumo. Attraverso le arti, il sesso, l'informazione, la medicina, la moda e l'amore decaduti a grossolanità, bizzarria e disordine, Kenneth Branagh (si muove e parla da alter ego di Woody Alien ma più depresso che nevrotico, quasi annebbiato, remoto), alla maniera di Mastroianni in «Dolce vita», serve da guida nel caos di fine secolo. Persino nel film brillante e ricco di swing, con interpreti tutti bravissimi, circola un'aria di sfinimento triste, di mevitabile volgarità. Lietta Tornabuoni CELEBRITY di Woody Alien con Kenneth Branagh, Judy Davis Joe Mantegna, Winona Ryder Leonardo DiCaprio, Melanie Griffith Commedia Usa, 1998 Cinema Romano di Torino Ariston, Ducale, Plinlus di Milano Etolle di Roma

Luoghi citati: America, Kansas, Milano, New York, Roma, Torino