ALLEN L'isteria della celebrità

ALLEN L'isteria della celebrità Esce il nuovo film del regista newyorkese: una divertita riflessione sulla moderna mania di diventare famosi ALLEN L'isteria della celebrità ROMA. C'è un grande «help» nella prima e nell'ultima scena di «Celebrity», il film che Woody Alien è venuto a presentare in questi giorni in Italia sottoponendosi a un tour de force pubblicitario per lui inimmaginabile fino a pochi anni fa (ieri sera è stato ospite della Busi al Tgl delle 20, dopodomani sarà a «Domenica in»). Un «help» che, spiega il regista newyorkese, riguarda la cultura e la società americana, aggredite da un'immensa ondata di banalità e contagiate da una mania di celebrità «che ha raggiunto dimensioni isteriche». Gentile, disponibile, addirittura appassionato nell'impegno con cui risponde alle domande dei giornalisti, l'autore di «Io e Annie» e di «Manhattan», esprime la sua preoccupazione per gli Stati Uniti, un Paese che ormai, grazie anche al sexgate e al modo con cui si parla «degli affari del Presidente e del Congresso è diventato una barzelletta per tutti». Che cosa l'ha spinta a lanciare, con il suo film, questo grido d'allarme? «Credo che negli Stati Uniti stia succedendo qualcosa di molto grave, bisogna cercare di capire perchè la cultura ha imboccato una strada così sbagliata. Non esistono più limiti nella ricerca della celebrità a tutti i costi, la televisione trabocca di show in cui si esibisce gente che magari ha ammazzato moglie e figli, il tutto inframmezzato da spot pubblicitari di detersivi e carta igienica. Chiunque ha diritto ad avere il suo spazio sul piccolo schermo, tutti gli avvocati che hanno difeso O.J. Simpson, per esempio, conducono la loro trasmissione. Siamo ossessionati dalla banalità che ci viene propinata dai programmi tv, i quali a loro volta finiscono per influenzare le nostre conversazioni, il nostro modo di comunicare. E questo è inevitabile perchè la tv trasmette dalla mattina alla sera, ininterrottamente, ed è perciò divenuta parte integrante della nostra esistenza». Questo appiattimento riguarda anche il cinema? «Sì, oggi la situazione del cinema americano è molto triste: non sono contrario ai film popolari, alle commedie leggere o agli effetti speciali, ma credo che l'offerta dovrebb'essere diversificata, che ci dovrebbe essere spazio per diversi tipi di cinema e che il criterio degli incassi non dovrebbe essere l'unico seguito. Gli studios non producono più film di qualità e i giovani, anche quelli più acculturati, non hanno la possibilità di conoscere nulla e finiscono per definire capolavori film assolutamente superficiali. Per questo sto cercando di realizzare un progetto universitario per fare vedere agli studenti i grandi classici del passato, le opere dei maestri europei di cui non hanno neanche sentito parlare». I protagonisti di «Celebrity» sono tutti afflitti da una profonda infelicità, ma la celebrità ha anche i suoi lati positivi. «Di certo i fattori positivi della celebrità superano quelli negativi che fondamentalmente sono condensabili nella perdita della privacy. Per quanto mi riguarda posso dire che conosco i pregi della celebrità e so bene che, in quanto persona nota, posso ottenere in ogni momento un tavolo al ristorante preferito, i biglietti per uno spettacolo, un medico in un giorno festivo. A volte mi sono chiesto come starei se a un certo punto tutto questo sparisse e devo ammettere la mia debolezza: sicuramente certe cose mi mancherebbero». Quando ha deciso d'inserire Leonardo Di Caprio nel cast di «Celebrity»? «L'ho visto per la prima volta nel film "La stanza di Marvin", lui è grande amico di Diane Keaton che me ne aveva molto parlato. Trovo che sia un attore straordinario e non solo un bel ragazzo, l'ho preso per questo e solo dopo è scoppiato il fenomeno "Titanic". Allora mi sono detto 'bene, verranno tutti a vederlo nel mio film', ma non è andata così». Di che cosa parla il suo prossimo film? «Ho finito di girarlo la settimana scorsa, non ha ancora un titolo e uscirà dopo l'estate. La storia, spero divertente, è ambientata negli Anni 30, parla di un musicista, di quello che gli accade, dei suoi rapporti con due donne. Gli interpreti sono Sean Penn e Urna Thurman, io non sono sullo schermo». Che cosa pensa del successo di «La vita è bella»? «Non l'ho ancora visto, ma sono contentissimo del successo che sta avendo a New York, dimostra che anche i film europei possono tornare ad essere visti e amati da noi come accadeva un tempo». Fulvia Caprara «Ma essere famoso mi fa anche piacere se tutto dovesse sparire all'improvviso confesso che sarei molto triste» ALLEN L'isteria della celebrità Woody Alien; a sinistra, Kenneth Branagh in «Celebrity»: è un giornalista mediocre con una disastrosa vita affettiva e una bellissima auto

Persone citate: Busi, Diane Keaton, Fulvia Caprara, Kenneth Branagh, Leonardo Di Caprio, O.j. Simpson, Sean Penn, Urna Thurman, Woody Alien

Luoghi citati: Italia, Manhattan, New York, Roma, Stati Uniti