E' morta la vedova di Cagliari

E' morta la vedova di Cagliari Dopo il suicidio dell'ex presidente Eni aveva detto ai pm: riporterò in Italia i 18 miliardi E' morta la vedova di Cagliari Il figlio Stefano: «Piegata dai dolori di questi anni» MILANO. «I dolori di questi anni hanno piegato la volontà di vita di Bruna Di Lucca, vedova Cagliari». Sono le parole con le quali ieri, Stefano Cagliari, figlio dell'ex presidente dell'Eni Gabriele, morto suicida in carcere durante l'inchiesta di Mani Pulite, ha dato l'annuncio della scomparsa della madre attraverso un necrologio di giornale. Parole misurate, senza polemiche o recriminazioni. Eppure, inevitabilmente, dure. Bruna Di Lucca era una «non protagonista», che nel silenzio e con l'animo tormentato da più di una disgrazia, ha saputo riscattare il nome di una famiglia che fu tra le più potenti d'Italia, testimoniando il dramma di chi è stato travolto e sconvolto dagli anni bui di Tangentopoli. Una donna che per la forza d'animo e la grande dignità dimostrata aveva impressionato molto anche i magistrati di Milano che pure l'avevano dovuta inquisire per riciclaggio. Dopo la morte di Gabriele Ca¬ gliari, era stata lei stessa a presentarsi in procura per annunciare ai pubblici nùnisteri di Mani Pulite che avrebbe fatto rientrare in Italia quei soldi (18 miliardi) che gli investigatori avevano individuato in mi conto di Lugano e che secondo le accuse, Cagliari aveva accumulato attraverso un vorticoso giro di tangenti. Quel conto svizzero era stato intestato a lei, Bruna Di Lucca, che per questo, seppur per un breve periodo, era stata iscritta sul registro degli indagati. Un'esperienza diffìcile, perché, dopo la morte del marito che le aveva lasciato lettere brucianti e drammatiche sulla condizione di imputato-detenuto di Tangentopoli, la signora Di Lucca aveva dovuto affrontare anche la morte di un figlio e di una nuora. Come se, dopo l'inchiesta che aveva gettato nella polvere il nome del marito, si fosse abbattuta sulla sua famiglia un'oscura maledizione. Bruna di Lucca è morta nella clinica Madonnina di Milano, dove era stata ricoverata da alcuni giorni dopo l'aggravamento del male che da qualche tempo l'aveva colpita. E oggi i suoi funerali si svolgeranno nella stessa chiesa di Piazza San Babila dove, il 23 luglio del 1993, si svolsero in un clima tesissimo quelli del marito. Nata a Udine nel 1923, Bruna Di Lucca era rimasta accanto a Gabriele Cagliari anche nei momenti più difficili. Cagliari, arrestato la prima volta nel marzo del 1993, si dimise dalla presidenza dell'Eni dopo aver ammesso l'esistenza di un sistema di fondi neri, valutato successivamente intorno ai 500 miliardi. Ma quando ormai sembrava a un passo dalla scarcerazione, dopo quasi 5 mesi di detenzione, un'altra indagine, questa volta su tangenti per un contratto assicurativo tra l'Eni e la Sai di Salvatore Ligresti, provocò l'emissione di un nuovo ordine di cattura: Gabriele Cagliari non riuscì a reggere questa nuova accusa e, dopo una mancata promessa di liberazione, infilò la testa in un sacchetto di plastica, uccidendosi hi cella. Bruna Di Lucca decise di far pubblicare da alcuni giornali le lettere che il marito le aveva scritto prima di uccidersi: duri atti d'accusa non solo alla disumanità del carcere e ai metodi inquisitori dei magistrati, ma all'intero sistema di tangentopoli di cui era stato vittima e protagonista al tempo stesso. Fu l'unico e l'ultimo gesto polemico della vedova Caghari. [p. col.)

Persone citate: Bruna Di Lucca, Di Lucca, Gabriele Cagliari, Salvatore Ligresti, Stefano Cagliari