La prima guerra dell'alleato Blair di Fabio Galvano

La prima guerra dell'alleato Blair La prima guerra dell'alleato Blair Il successore di Major arringa i Comuni: dovevamo farlo LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Non avevamo altra scelta». Il volto teso, probabilmente per la notte insonne, Tony Blair spiega ai Comuni i motivi dell'azione contro Saddam. «Ieri - dice il primo ministro, per la prima volta in guerra - ho autorizzato la partecipazione delle forze britanniche. L'operazione continua: mentre parlo, i Tornado britannici sono in azione». Dà così la notizia del primo coinvolgimento di Londra al fianco di Washington. I piloti torneranno tutti, sani e salvi, alle loro basi in Kuwait; ma in questo momento neppure lui lo sa. Il clima è cupo, il momento è grave. «Tutta la Camera - invita Blair - faccia gli auguri ai nostri piloti, che rischiano la vita per assicurare pace e stabilità al Medio Oriente e al resto del mondo. Siamo orgogliosi di loro». Dai banchi laburisti, ma anche da quelli dell'opposizione, si leva un mormorio d'approvazione. I quotidiani bisticci tacciono: i Comuni sono compatti. Se è contrariato dalle reazioni negative di Mosca, ma soprattutto da quelle di alcuni alleati europei fra i quali primeggia l'Italia, Tony Blair non dà a vedere. Legge, anzi, una lista di Paesi che sostengono l'azione angloamericana contro Saddam. Si sofferma sulla parola «Germany», affinché tutti comprendano. Cita la Francia, che tutti sappiano. Ma soprattutto insiste che il suo governo «non ha nulla contro il popolo iracheno»; e anzi afferma che i bersagli sono stati scelti «con ogni cura possibile per evitare vittime civili o danni alle normali strutture civili». Pausa un attimo. «Nonostante i nostri sforzi - è costretto ad ammettere - ci saranno vittime in Iraq». E' il peso della guerra, di ogni guerra. E par quasi di risentire Maggie Thatcher, ai tempi della guerra nella Falkland, parlare del suo «cuore grave» e dello «schiacciante peso della responsabilità». Anche questa volta Londra è sola, almeno fra i Paesi europei. La sua solidarietà con Washington, in nome del «rapporto speciale» con l'ex colonia, la spinge oltre ogni forma di coordinamento con i partner del¬ l'Unione. Il peso, quindi, è doppio; e Blair si sente costretto a spiegazioni: «E' vitale - dice che la gente capisca come la minaccia rappresentata da Saddam Hussein sia reale, non teorica». Per buona misura nega che il momento scelto per l'attacco sia «in qualche modo legato a problemi interni degli Stati Uniti». Poco prima, a una riunione di gabinetto convocata a Downing Street, era stato più categorico: «Saremmo venuti meno al nostro dovere - aveva detto - se non avessimo preso la decisione che abbiamo preso». L'operazione «Desert Fox», aveva spiegato, è scattata per l'aperta sfida di Saddam al programma di ispezioni dell'Onu. Aveva esplicitamente accusato il raiss di avere «rimos- so, nascosto e distrutto documenti riguardanti armi per la distruzione di massa». E mentre il ministro degù Esteri Robin Cook rivelava che la Gran Bretagna assente nella prima ondata contro Saddam - avrebbe contribuito con circa il 20 per cento delle missioni aeree previste, Blair aggiungeva: «Ha preso questa decisione con profondo senso di responsabilità». Soltanto la «vecchia guardia» del laburismo, la sinistra marxista che si riconosce in Tony Benn, protesta per un'operazio¬ ne «illegale sotto il profilo del diritto internazionale», che provocherà «la morte di molti innocenti» e che «infiammerà il Medio Oriente». «L'attacco - ha fatto eco George Galloway - è guidato non da Riccardo Cuor di Leone ma da Clinton il Bugiardo». Ma persino l'arcirivale William Hague, leader dei conservatori, esprime il suo pieno appoggio, pur tratteggiando una serie di paletti. Si vuole per caso la rimozione di Saddam? «Non è fra gli obiettivi di "Desert Fox"», risponde Blair: «Richiederebbe centinaia di migliaia di truppe e il successo non sarebbe garantito». E' forse una spiegazione del suo «cuore grave». Fabio Galvano Critiche al premier solo dalla sinistra marxista del suo partito. «La situazione interna americana non ha influito sulla decisione di sferrare l'attacco»

Persone citate: Clinton, George Galloway, Maggie Thatcher, Riccardo Cuor, Robin Cook, Saddam Hussein, Tony Benn, Tony Blair, William Hague