Al Congresso la nuova Tempesta di Clinton

Al Congresso la nuova Tempesta di Clinton Il Presidente potrebbe perdere, ma per i repubblicani scoppia una nuova grana Al Congresso la nuova Tempesta di Clinton Domani dovrebbe finire il blitz e si vota l'impeachment NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Il giorno dell'attacco è domani. I missili partiranno direttamente dal Congresso, diretti verso l'uomo che, nonostante gli assalti dall'esterno e l'opposizione interna, rimane da anni al potere, supportato, soltanto, dal cieco appoggio del suo popolo. Cessate il fuoco a Baghdad e apritelo a Washington. Lasciate in pace, probabilmente più forte di prima, Saddam Hussein e fate la guerra, ora che è indebolito e non ha più scappatoie, a Bill Clinton. In un ultimo tragicomico intreccio, l'offensiva-scandalo passa il testimone allo scandalo offensivo, gli argomenti della ragione cedono agli opportunismi di parte e il calendario della storia si arrende all'agenda delle festività. Sabato 19 dicembre 1998 le truppe americane e inglesi cesseranno il raid sull'Iraq per rispettare l'inizio della festa islamica del Ramadan e i rappresentanti del popolo statunitense voteranno, presumibilmente, l'incriminazione del loro Presidente per avere la settimana successiva libera e celebrare il cristiano Natale. Auguri a tutti. Agli spettatori allucinati e ai protagonisti allucinanti di queste due vicende che più lontane non avrebbero dovuto essere e invece s'avvinghiano e ballano insieme, guardandosi in uno specchio che ne riflette i movimenti. Auguri, Bill. E' curioso vedere il presidente degli Stati Uniti parlare di azioni militari in Iraq davanti alle telecamere convocate nell'ufficio ovale, quello stesso in cui convocava Monica Lewinsky per parlare al telefono con un senatore delle azioni militari in Bosnia, mentre lei gli alleviava la tensione. Ancor più curioso è sentirlo accusare Saddam Hussein di aver mentito, aver tradito la parola data, ingannato il suo Paese e il mondo intero, meritando, pertanto, la più dura delle punizioni: una scarica di fuoco e l'allontanamento dal potere. Ma Clinton è così: le leggi, la logica e, perfino, il senso comune delle parole, valgono per gli altri, non per lui. Auguri, repubblicani. Di tutti i giorni che Iddio ci avrebbe dato vedere, il più inaspettato era quello in cui avremmo sentito i repubblicani protestare contro l'America che mostra i muscoli al mondo e spara quattro bordate contro un tiranno straccione e arrogante. Invece, eccoli lì, a questionare non solo la scelta di tempo, ma anche l'opportunità dell'attacco, violando il codice secondo cui non si critica mai un capo delle forze armate mentre esercita le sue funzioni. E mentre il presidente-renitente alla leva ha già ordinato due raid in sei mesi, i suoi avversari guerrafondai invocano tregua, pazienza e rinvio. Certo, a suo tempo, come Trent Lott, anche Mike Mansfield si oppose alla guerra in Vietnam voluta da Johnson, ma in tutt'altri termini e senza coincidenze sospette. Ed è ben vero, come ha fatto notare il deputato dell'Alabama Spencer Bachus, che con i blitz dell'estate Clinton ha abbattuto «una drogheria in Sudan e due cammelli in Afghanistan», ma quando Reagan fece invadere Grenada per oscurare i disastri patiti in Libano, conquistò, più o meno, un bananeto. Poco importa, in guerra come in amore. La contraerea democratica ha sparato ieri sera la sua bordata, inducendo il nuovo speaker repubblicano, Bob Livingston, a offrire le sue dimissioni prima dell'incarico. «Importante svolta politica», ha annunciato la Cnn: Livingston ha ammesso di aver tradito spesso la moglie, ma, ha aggiunto, mai con collaboratrici e mai negandolo sotto giuramento. Forse perché nessuno glielo chiese. Auguri, americani. Aveva detto «Livingston il fedifrago, I suppose»: «Lasceremo il giudizio su Clinton al popolo americano». Fosse vero, andremmo tutti a mangiare il panettone in pace. E in pace ci saremmo mangiati, a suo tempo, l'uovo di Pasqua. Perché il popolo americano, Sexgate o Wargate che sia, per strano che possa apparire, sta dalla parte del Presidente. Del che, non importa nulla a nessuno. Perché se davvero avesse giudicato la gente, sondaggi alla mano, Kenneth Starr sarebbe andato a pescare da mesi. Quanto all'attacco all'Iraq, favorevoli: 74%; convinti che non sia stato deciso per distogliere l'attenzione dallo scandalo: 64%. Cinica e insensibile come chi la governa, la gente d'America pensa solo al proprio interesse, segnalato da quel minuscolo riquadro televisivo in sovrimpressione con la freccia rivolta verso l'alto: un altro giorno di indice di Borsa all'insù, produttori d'armi che segnano profitti e distribuiscono reddito, tacchino natalizio più grosso. Clinton, in un modo o nell'altro, fa girare gli ingranaggi, accende i motori e la nave va. Domani le arriva un siluro. Non è detto che l'affondi. «Mai sottovalutare un Presidente disperato» ha ammonito il repubblicano Gerald Solomon. Lunga è la strada dell'impeachment: sesso e potere, amore e guerra la percorreranno ancora insieme. In un infame abbraccio Monica Lewinsky e Saddam Hussein potrebbero infine ballare avvinghiati sulla lapide di Clinton, o lui scoperchiarla e uscirne redivivo, sparando Tomahawk e panzane. Gabriele Romagnoli I repubblicani hanno violato la regola secondo cui non si critica il Comandante mentre è in guerra E gli americani insistono: una netta maggioranza si dichiara nei sondaggi favorevole ai raid Al centro, un gruppo di manifestanti a Washington contro l'impeachment al Presidente Tra di loro c'era anche Barbra Streisand A lato, il premier britannico Tony Blair