Alla 22ª ora, un filo di fumo di Gabriele Romagnoli
Alla 22ª ora, un filo di fumo Dallo spettacolo tv del '91 allo scialbo schermo verde del '98 Alla 22ª ora, un filo di fumo ANEW YORK VREBBE detto Carlo Marx: «Quando la tele-tragedia ritorna, diventa una telefarsa». Sette anni fa la «Tempesta nel deserto» cominciava con Peter Arnett davanti alle telecamere della Cnn sul'inedito sfondo di una Baghdad illuminata da missili e contraerea. Due giorni fa, la battuta di caccia alla «Volpe nel deserto» è partita con l'immagine dell'ambasciatore iracheno all'Onu che attraversa i corridoi del palazzo di vetro, vede con la coda dell'occhio uno schermo televisivo verdastro, si gira di scatto, assiste al primo bombardamento dalle parti di casa sua, sussurra una maledizione musulmana, si gira e va a preparare il discorso di dura condanna che di li a poco pronuncerà. Signore e signori, va in onda il seguito di uno dei programmi di maggior successo degli Anni Novanta. Come tutti i sequel: un fiasco. Perché se la guerra del '91 si combatté soprattutto in tv, questa scarica dì botti di fine d'anno sparati da un presidente sazio e disperato si vede solo sullo schermo radar. Questo è il video targato Cnn: un fondo verde punteggiato di bagliori, che qualcuno scambia per razzi, ma sono lampioni di tangenziali, fari di auto, luci alle finestre di gente che, a Baghdad, guarda la Cnn e se uscisse a fare ciao con la manina ci andrebbe in diretta. Lo schermo verdastro rimane lì, perenne icona del dramma che non c'è, intercambiato con il riquadro dell'intervistato di turno (folgorante l'accoppiata con il vestito papavero della Albright): Clinton grande, il radar piccolino; Trent Lott piccolo, il radar grande. Basterebbe spegnerlo per accorgersi che il dramma non abita a Baghdad. Sulla rete Abc, che non trasmette con gli infrarossi, il corrispondente guarda la città dallo stesso tetto sul quale stava Arnett e, con espressione perplessa, racconta: «E' una giornata come le altre, la città ha ripreso le sue attività, il mercato ha aperto, la gente appariva solo un po' più stanca perché le bombe, in lontananza, ne hanno disturbato il sonno. Ma stanotte sarà la notte dei matrimoni, come previsto». La delusione è palpabile sul volto di Christiane Amanpour, la «guerrigliera» della Cnn, almeno fino alla ventiduesima ora del conflitto quando, finalmente, appare un fil di fumo e la cronista può esclamare in diretta: «Wow!». Il resto è commedia pura. Il nuovo speaker repubblicano Robert Livingston appare nel riquadro grande invocando «una preghiera per le nostre truppe impegnate in Iraq» e, dal riquadro piccolo, gli fa eco la voce di un muezzin che si leva da un minareto nella notte d'Oriente. La dimostrazione dei danni provocati dalla prima offensiva è affidata, invariabilmente, alle macerie di una casa verde. Quando, nel notiziario dal resto del mondo, appare il palazzo in briciole a Roma, con le immagini delle vittime e la storia dei due sopravvissuti, il confronto è inevitabile e «perdente». Il sequel televisivo non funziona e non fa audience. Lo spettatore si disinteressa in fretta e si allontana dai canali che non staccano le telecamere. Su altre reti, come a Baghdad, la vita continua. Da Jerry Springer, al solito, c'è gente che litiga, si insulta, si tira qualche ceffone e poi torna dietro le quinte. Dovrebbero invitarci Clinton, Lott e Saddam e lasciare che se le diano di santa ragione. Nel riquadro piccolo, seppur schermati da una luce verdastra, noi proveremmo a vivere in maniera sensata. Gabriele Romagnoli
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