Il Vendicatore e il Ramadan

Il Vendicatore e il Ramadan Perché l'America ha attaccato prima dell'inizio del mese sacro all'Islam Il Vendicatore e il Ramadan DESERT Fox non è una volpe che rapida coglie la preda, è una sorta di sciacallo volante che, dal cielo, rovescia sulla città dell'uomo - nel caso presente Baghdad - una pioggia di fuoco. Blasfemo. Questo mi dice l'amico cairota Yussuf al-Gili, discepolo del filosofo Hassan Hanafi teorico della liberazione della terra, «poiché Dio è la terra perduta». Dio non è soltanto, per i musulmani, l'Altissimo, il Clemente, il Misericordioso: è anche un grandioso «progetto culturale» teso ad affrancare l'uomo dall'ingiustizia, dall'ignoranza, dall'oppressione. In codesta prospettiva, l'operazione Desert Fox sarebbe «dolorosamente accettabile» se tendesse, e riuscisse, a restituire agli iracheni il bene illimitato della libertà, loro negata da Saddam Hussein. Ma poiché non è pensabile che con le bombe dei B52, coi razzi ancorché «intelligenti», sia possibile eliminare il tiranno: «il bombardamento è un attacco immorale, eseguito da moralisti che non hanno morale, se non quella del più forte». A dirlo è il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Raphael I Bidawid, attualmente a Roma. Sempre più du- ro, il Patriarca afferma che Clinton, per evitare l'impeachement, non si è peritato di attaccare «a due giorni dall'inizio del Ramadan» (e a nove dal Natale cristiano). In verità nel suo discorso alla nazione americana, il giovine Presidente ha detto di aver ordinato l'attacco «in questo momento» proprio per evitare di farlo durante il Ramadan, «attaccare durante il Ramadan sarebbe stato offensivo per i musulmani e avrebbe danneggiato i nostri rapporti col mondo arabo». Tanta delicatezza, si potrebbe osservare, non elimina il potere mortale, gli effetti devastanti di Desert Fox. Epperò dato e non concesso che gli Stati Uniti «dovevano» bombardare l'Iraq, rimane il fatto che Clinton si riveli una volta ancora un professionista della politica. Egli sa che le bombe destinate teoricamente a Saddam metteranno comunque in crisi il tiranno; e sa che il dittatore arrogante ha solo avvocati d'ufficio, che le proteste sono di routine poiché nel mondo arabo il «macellaio di Baghdad» sarà magari temuto e fin anco ammirato, ma non è certamente amato. Mentre il rispetto per il Rama¬ dan, così chiaramente proclamato dal Presidente degli Stati Uniti, non può non aver toccato l'io profondo dei vari Rai'ss arabi, e fors'anche qualcuno dei tanti che si riconoscono nell'islam. Oggi l'islam «è» un miliardo, forse più, di musulmani. Forma sul globo un grande semicerchio: da Dakar all'Insulindia, rammentando l'hilàl, la falce della Luna nel suo primo quarto, divenuta nel tempo il simbolo dell'islam. La sua diaspora si spinge sino alla Cina, al vasto Sud dell'ex Urss, fino ai poveracci emigrati in Europa, i nostri vu cumprà che non sono macchiette ma uomini consapevoli della propria Cultura: l'islam, appunto. Ma perché il Ramadan è uno dei cinque pilastri di codesta grande religione-cultura? (Gli altri pilastri: la professione di fede [shahada], la preghiera [salat], l'elemosina [zakat], il pellegrinaggio alla Mecca [hàgi]). Perché è il momentum della Rivelazione. Maometto, forte cammelliere, uomo del deserto, al ritorno da ogni carovana si ritirava a meditare e a digiunare «per disintossicare la mente e il corpo», in una grotta del monte Hira. E allo scoccar del tra¬ monto, allorché il colore neutro delle dune diventa rame fuso, in quel momento soave d'un giorno miracoloso che spacca il cuore, dantescamente struggente com'è, Maometto vede l'Arcangelo Gabriele. E questi gli rivela il suo destino profetico. Quella in cui viveva l'allora quarantenne Maometto è la società preislamica, agnatica, fondata sui legami maschili del sangue, che praticava l'endogamia così com'era praticata in tutta l'area mediterranea e nel Vicino Oriente. Una società che mescola la fierezza, il culto dell'onore - individuale e della tribù -, ma al tempo stesso è permeata di violenza, posseduta da una sensualità sfrenata. Era, quello, «il tempo dell'ignoranza», dominato da un dio supremo, al IMI, assediato però da una infinita schiera di idoli. A codesta società, Maometto si rivolge perché cancelli gli idoli e veneri il Dio Unico: degli arabi, dei cristiani, degli ebrei. Irriso, minacciato, con pochi seguaci egli lascia la natia Mecca per emigrare alla Medina, compiendo l'Egna (higra). Qui Maometto, poggiato al tronco Il periodo del digiuno è uno dei 5 pilastri di questa religione con la professione di fede, la preghiera l'elemosina e il pellegrinaggio Clinton: «rispetto» per il Ramadan