«Adesso crolleranno anche le nostre case» di Francesco La Licata

«Adesso crolleranno anche le nostre case» Paura fra la gente del quartiere realizzato negli Anni Cinquanta senza alcun rispetto delle leggi «Adesso crolleranno anche le nostre case» «Da anni viviamo in edifici di tufo, costruiti su voragini» ROMA. Ci sono due mondi in questo scorcio di Portuense, quartiere antico che fatica a perdere i connotati di vecchia borgata di campagna. L'imbocco di via di Vigna Iacobini, teatro di una catastrofe difficilmente imputabile al caso, li separa. Sul vialone che costeggia l'ospedale Forlanini staziona il popolo dei sopravvissuti. I «miracolati» che cominciano ad aver paura e vogliono sapere perchè è potuto accadere che un intero condominio sia scomparso nel sonno, ingoiato da un buco non si sa quanto grande. Al di là delle transenne, come in un film da incubo, ci stanno quelli che lottano contro una montagna di detriti che ricopre vivi e morti, uomini, donne e bambini. Lì sotto, dove centinaia di soccorritori instancabili scavano cercando di essere leggeri, c'è tutto ciò che rimane della «vita rubata» ad un gruppo di famiglie tranquille. E' stato subdolo, l'agguato della morte. L'ora, intanto. Non c'è scampo se il terreno si apre sotto i piedi alle tre e un quarto del mattino. E poi, il modo. Proprio quando le famiglie si ritrovavano all'interno del proprio guscio, certe di essere protette e al sicuro, perchè nulla può accadere quando la porta è ben chiusa, una caverna maledetta le ha risucchiate nel gorgo. E ora, ora che il sole si fa strada fra la spessa cortina di polvere e calcinacci, i vigili del fuoco sfiorano con le mani gli oggetti che certificano l'entità della tragedia. La ruota di una bicicletta per bambini, una bambola di pezza, i regali di Natale, un portaritratti con una vecchia foto a colori. Che scempio. E' così anche dopo i terremoti. Che rabbia vedere risalire dalle macerie un vaso integro, un bottiglia, una lampada in per- fetto stato, e constatare la fragilità della vita umana. A Gibellina distrutta dal sisma, nel gennaio del 1968, una sola casa rimase in piedi. A vederla da fuori, sembrava integra coi resti della cena e la tovaglia in tavola. Al piano di sotto c'erano i letti pieni di morti. I vigili «rompono» le pietre per poter «frugare» senza far correre rischi ad eventuali superstiti. Una fila di pini, contaminati dai gas di scarico, tradisce il pietoso tentativo di rendere attraente lo scempio edilizio del Portuense. E' evidente che, a partire dal boom degli Anni 50, si è costruito senza regole. Lo ammettono i «superstiti» della borgata, che ancora oggi, «dopo quarant'anni», abitano case «fatte a tufo e calce». Una donna anziana piange ed elenca tutte le voragini che si sono aperte nel quartiere. Ricorda il crollo di via Sirtori, a po che centinaia di metri dal Forlanini, quando l'intera parte di un «palazzone si sgretolò come un biscotto». Anche allora era notte. «La verità è - dice - che qui non bisognava fare molte case. Qui sotto ci stanno le grotte che arrivano al Tevere, capito? Io lo so, ci venivo sempre a fare la cicoria e ho sempre visto grotte e acqua». «E poi - aggiunge - questo era un palazzo segnato. Due anni fa ci fu l'esplosione di una bombola del gas, provocata da un ragazzo, un mezzo matto drogato». Il tempo trascorre ritmato dal numero delle vittime che cresce. Il popolo sta con gli occhi incollati sulle macerie e spera sempre nel miracolo. Niente turba il popolo, men che mai il passaggio delle varie personalità accorse a via di Vigna Iacobini: il ministro Iervolino, il Capo della Polizia, Gianfranco Fini, il presidente D'Alema. A pochi metri dalle transenne una improvvisata «camera ardente»: serve per tenere le salme in attesa del triste adempimento del riconoscimento. Perché? Perché è accaduto? A questa domanda gli abitanti di via di Villa Iacobini non sanno ri- spondere. Sembrano, più che altro, voler esorcizzare la grande paura, il terrore che la «malattia» possa evolvere in «epidemia». Cedimento strutturale di quel singolo palazzo? E' l'ipotesi più accreditata ed anche la meno pessimistica. Le ipotesi alternative sono da far tremare i polsi: instabilità del sottosuolo o responsabilità per alcune modifiche apportate negli anni all'edificio. Il dibattito è aperto. L'inchiesta pure: occhi puntati sulla tipografia che occupava il seminterrato e i primi piani. I titolari hanno già fatto sapere: «Noi non c'entriamo. Abbiamo fatto tutto in regola». Forse, allora, i lavori per ricavare l'ascensore? Anche in questo caso sono pervenute rassicurazioni e smentite. Dio voglia che si riesca a capire in fretta cos'è accaduto alle tre e un quarto di mercoledì mattina. Il pomeriggio riporta la speranza, come commenta Walter Veltroni apprendendo che i vigili del fuoco trovano due superstiti. Ha del prodigioso, l'evento. Il braccio mobile dell'escavatore si ferma, imponendo un silenzio irreale che fa arrivare i flebili lamenti di Alberto Viola e della moglie, Luciana Pompei, salvati da un materasso e da due pilastri messi a croce in modo da lasciare una nicchia protettiva. Sono passate 12 ore dal crollo, ma sono vivi. «C'è qualcuno» grida il vigile del fuoco. «Medico, medico» gli fa eco un altro. Riprende vita anche Andrea, il giovane figlio della coppia. Sta lì da ore ed ore. Quando vede i genitori non crede ai suoi occhi. Alberto Viola riemerge dalle viscere della terra. Il popolo si lascia andare ad un applauso liberatorio. Sono le 15,40 ed è la prima cosa buona che accade. E' cosciente, l'uomo. La moglie sta peggio, ma si salverà anche lei. Alla caposala, in ospedale, Viola dirà: «Mi sentivo sepolto vivo. La terra mi entrava dappertutto e mi toglieva il respiro. Che brutta sensazione». Francesco La Licata Tra i «miracolati» della via qualcuno ricorda di quando si sbriciolò un altro condominio Un'immagine dei soccorritori al lavoro tra le macerie della palazzina nel quartiere Portuense wmm

Persone citate: Alberto Viola, D'alema, Gianfranco Fini, Iacobini, Iervolino, Luciana Pompei, Vigna Iacobini, Walter Veltroni

Luoghi citati: Gibellina, Roma