La ballata dei Presidenti e del tiranno di Igor Man

La ballata dei Presidenti e del tiranno Bush fermò i G.I. diretti a Baghdad: Clinton ordinerà di continuare la marcia? La ballata dei Presidenti e del tiranno SIAMO alla quarta crisi fra Iraq e Stati Uniti. Ma il problema non è bombardare Baghdad, non è ricacciare di nuovo l'Iraq nel pre-industriale, il punto è uno solo: abbattere Saddam. Questo, in estrema sintesi, è quanto ha scritto, proprio su La Stampa, Henry Kissinger. Non è certo con le «bombe intelligenti», che mietono fatalmente vittime innocenti, che si può immaginare di far fuori il dittatore mesopotamico. Se non lo avesse scritto Kissinger, potremmo pensare che abbia inventato l'acqua calda: sono sei anni che lo andiamo scrivendo e dicendo. Ma detto da Kissinger il discorso acquista una valenza politica pesante. Ancorché fuori dalla camera dei bottoni (non importa se scuciti da una Paula Jones), l'ex Segretario di Stato è in grado di vedere i fatti, di analizzare questa o quella situazione dal di dentro. Non è un mistero che la famosa Tempesta del Deserto si riprometteva di stabilire un «giusto equilibrio» in una delle più importanti regioni strategiche del mondo, anche con l'eliminazione di Saddam. Invece i Gì. furono inopinatamente fermati dal presidente Bush proprio mentre marciavano spediti su Baghdad. (Dove, va detto, le donne cucivano alla macchina a pedali bandiere americane e il clima era in qualche modo simile a quello di Roma in attesa dei paisà, nel giugno del 1944). Non era mai successo che il vincitore, per di più in prossimità del traguardo ambito, proclamasse un cessafuoco unilaterale. La decisione di Bush venne dettata dalla preoccupazione di non mettere in difficoltà Gorbaciov, in quelle ore drammatiche «ostaggio» dell'Armata Rossa. Avendo, essa, edificato, militarmente e ideologicamente, l'Iraq postmoderno, i suoi allora potenti generali non po¬ tevano ammettere che i marines entrassero a Baghdad. Altre considerazioni ancora sono da cercare per comprendere la inopinata decisione di Bush. Il brain trust del presidente americano riteneva assolto il mandato dell'Onu con la liberazione del Kuwait; pensava che gli «alleati arabi» non avrebbero accettato senza batter ciglio nuovi bombardamenti sull'Iraq soprattutto perché temevano un vuoto di potere a Baghdad tale da tentare il grande rivale di Saddam, cioè il Duce siriano Assad. Infine i consiglieri di Bush si dicevano convinti che, in conseguenza del disastro, «prima o poi» Saddam sarebbe caduto. Come sappiamo, e vediamo, le cose sono andate diversamente. E oggi, giustappunto, siamo alla temibile quarta crisi fra la grande monopotenza del mondo e .l'Iraq miserabile, angustiato dall'embargo, dove ogni giorno muoiono, di stenti, per mancanza di medicinali, 350 persone: perlopiù anziani e bambini. Allorché, nel novembre scorso, davvero sul filo dei secondi, Saddam annunciò di riammettere gli ispettori delle Nazioni Unite, assicurando che avrebbero potuto controllare «dovunque e comunque e in qualsiasi momento», un po' tutti scrissero che il dittatore aveva menato per il naso il giovine presidente Clinton, costringendolo a mobilitare uomini e mezzi, dispensando somme ingentissime di denaro, obbligandolo all'ultimo Quella ottenfadaAnnantregua: e ledurano a luse c'è in bal uta un mese fu solo una tregue non ngo, specie o il petrolio momento a un vero e proprio coitus interruptus. Solamente in pochi non fummo d'accordo sulla pretesa abilità beffarda di Saddam, sulla sua furbizia assirobabilonese. Scrivemmo che quella ottenuta dal generoso Kofi Annan era giustappunto un kofi-break, una tregua. E le tregue, si sa, non durano a lungo, specie quando c'è in ballo l'oro nero. Una tregua ad oltranza, infatti, sarebbe risultata dannosa per i Paesi produttori di petrolio, mentre un blitz americano, «devastante», avrà come primo effetto proprio l'aumento del greggio, caduto, a partire dal gennaio del 1998, addirittura del 40%. Nel novembre scorso, alla fine (pacifica) della terza crisi, Bechir Ben Yahmed lucidamente scrisse su Jeune Afrìque che l'Iraq e Saddam erano i grandi sconfitti di quella partita, non Clinton. «E lo saranno sin quando continueranno a fare quello che li fece perdere sei anni fa e cioè a) attaccare sconsideratamente, senza mezzi idonei, e privi di quella duttilità che avrebbe potuto compensare l'inferiorità in termini militari, un avversario immensamente forte, b) coalizzare con la propria arroganza, contro se stessi, la maggioranza dei vicini e una buona fetta del mondo». Eppure questo è il momento di domandarsi se l'azione avviata dagli Stati Uniti sia fine a se stessa, e cioè «prolungata e devastante», ovvero contempli un piano fattibile, diciamo al settanta per cento, di farla finita col macellaio di Baghdad. Una volta per sempre, ci sembra impossibile ipotizzare che nel breve lasso di tempo intercorso fra la terza e quest'ultima crisi, la Cia o chi per essa, sia riuscita nel mùacolo pagano, meglio: pragmatico, di allestire e rendere operativo un piano capace di abbattere Saddam, il suo odioso regime. Epperò non cadde Nasser dopo la rovinosa sconfitta del 1967, anzi l'Egitto intero lo plebiscito affinché rimanesse: perché dovrebbe cadere Saddam? Detto subito che Nasser aveva un carisma che Saddam non possiede, e inoltre ch'egli era l'alfiere del panarabismo e un alleato importante, o soltanto un protegé dell'Urss, ricorderemo che la realtà mondiale odierna è completamente diversa da quella del 1967. Oggi l'Unione Sovietica non esiste più, la Russia di Eltsin ha dimostrato di contar assai poco cedendo, nel caso Ocalan, ai diktat di Stati Uniti e Israele, «convincendo» Assad a espellere il kurdo, scacciato successivamente e in fretta da Mosca. Il presente vede un giovine presidente a rischio di impeachment talmente deciso a non farsi sfrattare dalla Camera Ovale, da trascurare la possibilità - se non la certezza - che un'azione militare tutto distruggerà in Iraq, uomini e cose, fuorché il tiranno. E non c'è certezza altresì che una conclusione bellica della quarta crisi salvi il giovine Presidente americano. I versetti del Corano che chiudono questo scritto, potrebbero valere e per Clinton e per Saddam: «Coloro che avranno tralignato saranno circondati dal loro peccato, saranno preda del fuoco, e vi resteranno» (II, 80-81). Igor Man Quella ottenuta un mese fadaAnnanfu solo una tregua: e le tregue non durano a lungo, specie se c'è in ballo il petrolio