E Bill il calcio preso il fucile di Gabriele Romagnoli

E Bill il calcio preso il fucile E Bill il calcio preso il fucile L'ultima sorpresa di un anno dell'assurdo L'UOMO DELLE RESURREZIONE NEW YORK EL deserto del proprio futuro, la volpe vide un'oasi, non di pace, ma di guerra e vi si abbeverò, conquistandosi un'ulteriore, insperata sopravvivenza. Operazione Desert Fox, e Bill Clinton è ancora in piedi. Ouando i nemici ti hanno messo al tappeto, può sempre risollevarti il Nemico. Steso sull'ultima spiaggia, William «Gulliver» Clinton se ne stava imprigionato dalla trama dell'impeachment, ostaggio di una torma vociante di lillipuziani, ansiosi di consegnare il suo cadavere alla putrida marea della storia, quando l'orizzonte gli si è rischiarato. Da lontano, nel cielo sopra Baghdad, la stolidità di un tiranno fuori dal tempo e dalla ragione è venuta a offrirgli mia insperata, perfino per lui, via d'uscita e di sopravvivenza, slegandogli la mano che ha premuto il bottone della guerra lan| riandò, al contempo, l'offensiva verso l'Iraq e la controffensiva verso i repubblicani che avevano già eretto la l'orca e dovranno, invece, quanto meno aspettare. Nella vicenda che più di ogni altra ha smentito attese e previsioni, le ultime parole del repubblicano Bill Paxon non diventeranno famose. «Il gatto è arrivato alla settima vita», aveva annunciato. Grazie a Saddam, fanno invece, otto. Perché basta uno spiraglio e, più veloce del suo micio Socks, Clinton lascia la stanza delle torture e torna nell'ufficio della Casa Bianca a fare, bene o male, il Presidente, apparendo davanti alla nazione e al mondo nella grave ora delle scelte irrevocabili e spiegando perché ha dovuto agire «ora» in nome della sicurezza intemazionale, accantonando, senza rimpianti, la propria odissea. C'è, come sempre, qualcosa di paradossale in questa ennesima svolta. Un presidente appena tornato dal Medio Oriente doveva aveva tentato di accreditare la sua immagine come mediatore in nome della pace, salva, almeno per ora la sua poltrona, in nome della guerra. Come già in estate Osama bin Laden e le sue armate straccione del terrorismo è, in inverno, Saddam Hussein con i suoi arroganti sottodespoti d'Oriente a offrire al Satana americano una scappatoia dal personale inferno. Questa volta, non se l'aspettava neppure lui. Bastava guardare la faccia con cui è atterrato dal viaggio in Israele per capire che perfino Clinton non ci credeva più, Si era arenato. Per la pri ma volta, avendo sbagliato, sta va per pagare. Di tattiche, mos se, scelte di tempo, ne aveva azzeccate, finora, poche. Ma era sopravvissuto perché il nemico era sempre stato alla sua, per così dire, altezza. E William «Gulliver» Clinton, reso gigante dal fatto di essere approdato nell'era dei lillipuziani, l'aveva battuto guardandolo negli occhi, senza bisogno di chinarsi. Bat tuto George Bush, trionfatore del Golfo; Bob Dole, eroe della Seconda guerra mondiale; Newt Gingrich, cane mordace, ma di razza; Kenneth Starr, predicatore infuocato, ma d'altri tempi. Poi, senza che se ne avvedesse, sono arrivati i lillipuziani. Guidati da un uomo chiamato «Martello», Tom DeLay. Gulliver non aveva mai abbassato lo sguardo fino a DeLay e aveva finito per cascare nella sua trappola. Perché, a differenza degli altri, questo qui gli assomigliava. Quando, nel '97, aveva tentato di far fuori Gingrich con una congiura da operetta, aveva poi esibito un pentimento di circostanza, si era scusato ed era tornato dalla moglie. Così facen¬ do, se l'era cavata. Nel momento della verità, «Martello» aveva inchiodato tutti i «repubblicani moderati» al loro futuro, mostrando la figurina sbiadita dei sette che tradirono nell'Ottocento, votando per la salvezza del democratico Andrew Johnson e scomparirono dalla scena politica, non venendo mai più eletti. Ma anche DeLay ha commesso un errore. Suo padre, a 13 anni, lo mise alla berlina in pubblico, di fronte ai colleghi, poi gli insegnò: «Non mollare mai, devi imparare a cavartela in qualunque situazione». Valeva per lui, ma se c'è un uomo che ha impa¬ rato la lezione meglio di chiunque, abita, e non c'è sfratto che l'allontani, alla Casa Bianca. Quando non c'è più nulla che possa fare o dire, a William «Gulliver» Clinton capita l'estrema fortuna. Così, una giornata che era cominciata con la sfilata davanti alle telecamere della Cnn dei volti di repubblicani che annunciavano il voto favorevole all'impeachment («Perché mia figlia mi ha ricordato: "Papà, tu mi hai educata a non dire bugie"; «Perché non avevo letto bene gli atti d'accusa e non mi ero reso conto di quante menzogne avesse detto il Presidente»; «Perché un mio elettore poliziotto mi ha detto: "Avessi mentito io, davanti al gran giurì, ora sarei in galera"»), è finita con volti seri, compresi e patriottici, che si stringevano al presidente e capo delle forze armate nel momento in cui gli toccava decidere se e quando colpire per riaffermare il diritto e la sicurezza internazionali. Poco contano i distinguo della prima ora. Quando l'ex segretario di Stato di Bush, Lawrence Eagleburger, ha detto: «La scelta di tempo è sbagliata, ma non si poteva fare diversamente'», è apparso più fumoso e meno credibile di Clin- ton quando cercava di convincere che quello che faceva con la Lewinsky non era sesso. Questa volta il sospetto dello scenario prefabbricato è ben più difficile da alimentare della scorsa estate, quando Clinton fece bombardare mia fabbrica di medicinali in Sudan. E se pure le luci verdastre sopra Baghdad sono per lui fuochi artificiali per ìa festa dello scampato pericolo, è difficile credere che non li abbia innescati Saddam. L'offensiva anti-irachena ha scacciato dai notiziari l'avanzata della procedura di impeachment. Ancora una volta l'imponderabile è avvenuto in questo anno dell'assurdo in cui nessuna previsione o logica è stata rispettata. Un Presidente già più volte sepolto, si è scrollato nuovamente la terra di dosso ed è tornato nel suo ufficio. Intrecciati con la sua povera vicenda di sesso orale, bugie sotto giuramento e videotape in mondovisione, si muovono gli ultimi palpiti di un secolo, tra follie di un tiranno che il suo popolo non ha la forza di rimuovere e la comunità intemazionale non sa rendere inoffensivo, minacce di un terrorismo che ha volti e armi nuove e, per questo, spaventa, tensioni che nessun leader, azzoppato o no, riesce a calmare. In un mondo con problemi da giganti, altroché Gulliver, i lillipuziani reclamano la loro ora, ma la storia chiede, ancora, tempo. Gabriele Romagnoli Il bombardamento deciso mentre il Congresso repubblicano gli voltava le spalle. Ma l'ora della verità si avvicina La vigilia della sua caduta si trasforma nell'attesa di un evento che lo rivaluta mm . ■ discorso di Clinton e una manifestazione pro-impeachment

Luoghi citati: Baghdad, Iraq, Israele, Medio Oriente, New York, Sudan