Lo stile orfano della cravatta

Lo stile orfano della cravatta DOPO IL «HO» DEL PRINCIPE CLAUS Lo stile orfano della cravatta Fa discutere il «bando» deciso dall'Olanda LA cravatta ha sette vite, comr i gatti. Sembra sempre sul punto di morire, ma poi si riprende. Chissà se risorgerà anche dopo la mazzata che le infligge l'Olanda. Paese dove contro «il serpente che stringe il collo» (così la chiamano da quelle parti) ò in atto una rivolta nazionale. Cominciata una settimana fa, quando durante una cerimonia ufficiale il principe consorte Claus si è liberato dal tradizionale orpello fra gli applausi di tutti. Gesto sottolineato da un annunciatore del telegiornale, che ha subito seguito il nobile esempio in diretta. E copiato subito dopo dal collega che presentava i risultati delle partite di calcio. . Il fenomeno, prontamente battezzato «claustrofilia», cresce di giorno in giorno, annoverando sempre più fans legittimati dal «coup de théàtre» del principe. Il conte Giovanni Nuvoletti, autore del libro «Elogio alla Cravatta», è scettico: «Un secolo di consuetudine, e non la moda, ci ha imposto il supplizio al collo, ma prenderlo sul serio e farne oggetto di curiosità mi pare esagerato. Il mondo si evolve talmente in fretta nei campi che riguardano le libertà che oggi un uomo non ha bisogno della cravatta per farsi rispettare». Già, ma l'eleganza che cosa suggerisce? «Lo stile è qualcosa di inclassificabile - dice ancora Nuvoletti -. E' l'eterno conflitto fra libertà e arbitrio. In certi frangenti la cravatta è socialmente consigliabile. Mi riferi- sco a un cittadino che, per esempio, debba avere udienza dal presidente della Repubblica. In altri casi riguarda soltanto la sensibilità di ognuno». Il filosofo Bernard-Henri Lévy, elegantissimo senza cravatta, insegna. E' lui il vessillo del collo liberato. Al quale si associano personaggi noti, come l'attore Dario Fo, ma anche il meno raffinato Elton John, che un paio d'anni fa a Londra - quando Gianni Versace presentò il suo libro «L'Uomo senza cravatta» - colse l'occasione per vendere a un'asta benefica alcuni suoi abiti di scena, compresa la sconfinata collezione di cravatte. Secondo Lamberto Sposini del Tgl, cravattomane convinto («ne posseggo 250»), quella olandese è l'ennesima «boutade» destinata a naufragare fra una settimana: «Gli uomini che fanno un lavoro d'immagine come il mio mettono la cravatta anche per rispetto verso il pubblico. Non indossarla è una sciocca provocazione. Un conto è chi non la porta mai, come Costanzo. Un altro è chi se la toglie per star dietro alle bizze della moda». Ne sa qualcosa Gerry Scotti, che nell'ultima edizione di «Donna sotto le Stelle» decise di abolirla, scatenando un putiferio di polemiche fra Cecchi Gori e il presidente della Camera della Moda Beppe della Schiava, che lamentava sciatteria, ricordando gli smoking esibiti quando la trasmissione veniva riprese da Tgl. Ma, se per i mezzi busti televisivi le leggi dello stile permettono un margine di scelta personale, ai principi non è concessa troppa elasticità. Mariano Rubinacci, titolare dell'omonima storica sartoria napoletana, definita da «Le Monde» uno dei posti più chic del globo, racconta: «Il principe di Napoli, Umberto di Savoia, da noi sceglieva solo cravatte cucite a mano, di 7 centimetri di larghezza (contro gli otto regolari, mentre la larghezza romana arriva fino a 10), in rigido tessuto inglese maxfield, lavorata in stoffa rivoltata. Mentre Curzio Malaparte, Eduardo De Filippo e Vittorio De Sica esigevano il flip-stick, un piccolo anello di filo cucito sotto l'ala inferiore, che serve per dare elasticità. Queste piccole accortezze le pretendono ancora oggi Antonio Sassolino, Mario D'Urso, Dino De Laurentis, Luca di Montezemolo, ma anche i principi Pignatelli o Ferrante Caracciolo di Cellamare». Antonella Amapane Nuvoletti: «In certe occasioni è sempre socialmente consigliabile» Sposini: «Rifiutarla è una boutade» Il conte Giovanni Nuvoletti, autore del libro «Elogio alla Cravatta» A fianco, il filosofo Bernard-Henri Lévy, «nemico» della cravatta r «Gettata» in una cerimonia, tra gli applausi

Luoghi citati: Cellamare, Londra, Napoli, Olanda