Per Clinton sconfitta in Medio Oriente

Per Clinton sconfitta in Medio Oriente Il Presidente torna a Washington senza aver ottenuto passi avanti sul ritiro israeliano Per Clinton sconfitta in Medio Oriente Un vertice solo di cortesia tra Netanyahu e Arafat GERUSALEMME DAL NOSTRO INVIATO «Ce la faremo», dice Bill Clinton tentando di dare un'impronta positiva all'ennesimo incontro con Netanyahu e Arafat. «Alla fine ce la faremo e tutto sarà come deve essere». Ma in realtà, dopo la svolta di Gaza, il processo di pace rimane fermo. E il presidente americano è costretto a tornare a Washington senza alcuna garanzia sul prossimo ritiro israeliano dalla Cisgiordania. All'indomani del voto con cui il Consiglio nazionale palestinese ha abrogato in marnerà solenne e definitiva gli articoli anti-Israele della sua Carta, Clinton, Netanyahu e Arafat si sono incontrati a Erez, il valico di frontiera tra Israele e Territori occupati, per un vertice che doveva suggellare la ripresa del processo di pace dopo la recente interruzione. Il dialogo, almeno da un punto di vista formale, è ripreso. Ma senza alcun entusiasmo. Tanto che dopo un'ora e mezzo di colloqui, i tre leader hanno rinunciato perfino a farsi fotografare insieme. Arafat è partito di corsa per Betlemme, dove il presidente americano lo avrebbe raggiunto di lì a poco per visitare la chiesa della Natività e accendere l'albero di Natale. Netanyahu ha tenuto una conferenza stampa per i fatti suoi, denunciando ancora una volta le violazioni palestinesi. E Clinton fatto assolutamente inconsueto si è diretto verso un piccolo gruppo di giornalisti americani e, tirando fuori dalla tasca un foglietto di carta, ha spiegato perché a suo avviso il processo di pace era «di nuovo in carreggiata». Ha parlato di nuove «commissioni» e di «canali informali» per affrontare i problemi più spinosi, come quello del rilascio dei prigionieri politici palestinesi. «Ho ottenuto ciò che volevo ottenere venendo qui», ha assicurato. Ma al di là di un nuovo impegno a dialogare, di nuove commissioni e nuovi canali, il Presidente non ha ottenuto, ciò che più gli premeva di ottenere: la ripresa del ritiro israeliano secondo la tabella di marcia. Il prossimo ritiro dalla Cisgiordania era previsto per il 18 dicembre. Ma Netanyahu ha detto phe questo non è possibile, anche perché il suo governo pericolante (ieri il ministro del Tesoro, Neeman, ha annunciato le dimissioni) deve affrontare un voto di fiducia cruciale la settimana prossima. E a Clinton non è rimasto che incassare il colpo, limitandosi a dire che «sarebbe un peccato allontanarsi troppo dalle scadenze già fissate». Ma non è soltanto il voto di fiducia a rallentare tutto. Dopo l'incontro a Erez, Netanyahu si è presentato in televisione e ha dato sfogo a una litania contro i palestinesi. Arafat la deve smettere di parlare di Stato palestinese, ha detto. La deve smettere di dire che Gerusalemme Est ne sarà capitale. La deve smettere di tollerare la violenza contro gli israeliani. In tv il premier è sembrato in difficoltà, più agitato del solito. Clinton il giorno prima a Gaza aveva detto che «ogni passo avanti nel processo di pace è doloroso come cavarsi un dente». E Netanyahu ieri dava chiaramente l'impressione di essere m preda a quei dolori. Ha persino attaccato Arafat per non aver ancora stampato i nuovi libri di geografia in cui figuri Israele (anche questo tema, ha detto Clinton, sarà affrontato «tramite le procedure di un'apposita commissione»). Ma la questione che più infervora Netanyahu rimane quella dei prigionieri palestinesi. A Wye Plantation Netanyahu e Arafat si misero d'accordo sul rilascio di circa 750 detenuti palestinesi. E i palestinesi adesso si lamentano perché nel primo scaglione il governo israeliano ha inserito soprattutto criminali comuni, non detenuti politici. Netanyahu ha ribadito ieri che non ha alcuna intenzione di scarcerare prigionieri politici che si siano macchiati di sangue. «Due bambini i cui genitori sono stati uccisi da terroristi palestinesi sono venuti a trovarmi. Adesso mi si chiede di liberare gli assassini dei loro genitori. Non lo farò mai». E Netanyahu era furente perché il giorno prima a Gaza Clinton aveva paragonato il dolore degli orfani israeliani del terrorismo a quello dei figli dei detenuti palestinesi. «Ero con Arafat, e quattro bambini i cui genitori si trovano in carceri israeliane sono venuti a trovarmi», aveva raccontato Clinton. «La sera prima, alla cena con Netanyahu, avevo incontrato alcuni bambini i cui genitori erano stati uccisi nel conflitto con i palestinesi». Nel suo desiderio di apparire equanime - e di ricordare che nessuno ha un monopolio sul dolore il Presidente aveva aggiunto: «Dobbiamo far sì che tutti questi bambini possano andare avanti con le loro vite». Netanyahu ha reagito malissimo. E l'episodio non è di buon auspicio. Perché il problema dei detenuti politici nelle carceri israeliane sta aumentando la protesta contro Arafat. Andrea di Robilant Il Raìss abbandona il luogo dell'incontro dopo un'ora e mezzo E subito il primo ministro sciorina accuse in una conferenza stampa Dura replica del leader dello Stato ebraico a una frase del capo della Casa Bianca sui detenuti palestinesi non ancora liberati nonostante le intese La stretta di mano «forzata» tra Netanyahu e Arafat a Erez. Sotto manifestazione delle madri dei detenuti palestinesi in Israele