La psicosi del veleno fa il giro d'Italia

La psicosi del veleno fa il giro d'Italia La psicosi del veleno fa il giro d'Italia L'ALLARME PANETTONI FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Chi l'avrebbe immaginato che una fetta di panettone, sopravvissuta miracolosamente alla voracità di uno dei tanti Carcarlo Pravettoni televisivi, avrebbe trasformato un normale e nebbioso lunedì di tardo autunno nel gj>9rnp..pi^ lungo? In quello nel quale si sono temuti l'attacco massiccio degli ecosabotatori, un'epidemia di dolci avariati, un'alluvione di problemi e la collera per non riuscire a mettere le mani sui suddetti sabotatori. Insomma, il peggio del peggio. Perché è andata proprio così: sono bastati una fetta che si temeva avvelenata e un forellino in una confezione di cartone e si è piombati nella paura, si sono rischiate crisi di nervi e si è arrivati sul punto di prendere decisioni gravi. Ma che cosa è successo? Né più né meno quello che doveva accadere, se uno non ha l'accortezza di seguire quella vecchia massima: «Est modus in rebus», «C'è una misura in tutte le cose». E si getta sul panettone, rigorosamente Motta, appena acquistato, lo trangugia e, come accade ai coccodrilli ingordi, avverte le lacrime e con quelle gli arrivano tutti i dubbi. P.H., chiamiamolo così per la privacy ma anche per una forma di carità cristiana, mercoledì fa la spesa in un supermercato di Scandicci, porta Ovest di Firenze. E' un rappresentante di commercio, ha 31 anni, poca esperienza nelle faccende di casa e, come capita ai più, non sa resistere alla sollecitazione della gola. Così compra quei due panettoni. L'indomani avviene il sabotaggio con la consegna dei due pacchi agli uffici dell'agenzia Ansa a Bologna e a Firenze. Ma è un'altra storia, questa, e il nostro ignora tutto, lui è occupato a mangiare quel dolce, quasi per intero. Venerdì sta male, ma non gli vengono sospetti. Ripresa il sabato e ricaduta la domenica. E allora sì, che quel dubbio gli precipita addosso. Così corre dai carabinieri che sequestrano al supermercato undici panettoni, tutti quelli rimasti. L'uomo viene ricoverato all'ospedale Torre Galli per controlli, i panettoni sono vivisezionati, guardati, studiati, analizzati e, alla fine, forse, pure assaggiati. Perché risultano innocenti. Ma ad aggravare la situazione era arrivata una notizia inquietante da Bologna. Erano stati individuati 21 panettoni provenienti da Lecco e uno dallo stabilimento di Forlì con il cartone danneggiato e un foro sul fondo. Non aveva tranquillizzato la scoperta che la protezione in cellophane risultava intatta. C'era stato gran consiglio, alla procura bolognese, fra gli uomini della Digos e i magistrati. Finalmente, un sospiro: nei panettoni sequestrati a Firenze nessuna traccia di veleno, e neppure in quelli esaminati a Bologna e anche il vorace P.H. non presentava sintomi preoccupanti. Semplicemente 10 avevano ricoverato per una gastroenterite. E poi era arrivata anche la conferma che certi segni preoccupanti sui cartoni 11 lasciano i macchinari dell'impacchettamento. Insomma, la fine è arrivata quando scoccano le 5 della sera e l'allarme ha già fatto il giro d'Italia. «E questo è il vero rischio, che si allar¬ ghi come una macchia d'olio la psicosi del panettone», sospira Mauro Masich, capitano dei carabinieri, che è impazzito, con tutte quelle confezioni di dolci da esaminare. Prenderli, quelli che hanno provocato tanto allarme, che fanno i ricatti, d'accordo. Ma non sembra una cosa semplice. Forse c'è un filo che parte da un episodio avvenuto il 10 maggio '97: quel sabato, qui a Firenze, vennero incendiati quattro furgoni di una ditta consociata della Nestlè. Aiutate da una rivendicazione precisa, le indagini si indirizzarono verso un gruppo denominato Als, Animai Liberation Front. Da allora sono stati messi a fuoco tre o quattro profili, ci sono state intercettazioni telefoniche, altre ambientali, si è frugato in quel pozzo di San Patrizio chiamato Internet. E qualcosa, per la verità, nella rete sembra rimasto. Ma anche ammesso di riuscire a tirar su, bisognerà trovare le prove che colleghino quei primi ecosabotatori con gli autori del clamoroso gesto dell'altra settimana. Ora si sanno molte cose, non foss'altro perché ce le hanno raccontate loro, quelli che combattono per una causa die chiamano giusta. Per esempio, che il primo gesto di protesta clamoroso è collocato nel 1939 e fu la dottoressa Cecily Williams al Rotary Club di Singapore a parlare di «latte omicida». Ne sono seguiti altri 46, fino al 1994. E la serie continua. E poi, c'è l'identikit di quello che avrebbe spedito il panettone dall'ufficio postale di Firenze e di quell'altro che ha bissato a Bologna. «Ma è una descrizione abbastanza anonima», sospira Francesco Fleury, procuratore aggiunto di Firenze. «E poi, sorge un altro problema: bisogna vedere che tipo di reato sia, questo. Perché potrebbe anche essere un bluff, e si potrebbe parlare di "turbata libertà dell'industria e del commercio". Per capire quanto sia grave basta leggere l'articolo del codice che dice: "Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l'esercizio di un'industria o di un commercio, è punito, a querela della persona offesa, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da 200 mila a 2 milioni". Se non è un bluff si può parlare di procurare allarme o pubblica intimidazione, reati questi perseguibili d'ufficio. Insomma, bisogna esser chiari: quei panettoni avvelenati non erano poi destinati al consumo». Ma lei, procuratore, a Natale, una fetta di panettone la mangerà? «Penso proprio di sì». Vincenzo lessandoti Trovate confezioni coi fori nell'involucro «Sono segni lasciati dalla macchina che li ha impacchettati»

Persone citate: Cecily Williams, Francesco Fleury, Mauro Masich, Motta