«Congresso, censurami» di Franco Pantarelli

«Congresso, censurami» «Congresso, censurami» Nuova offerta di compromesso NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Bill Clinton continua a mandare messaggi dal Medio Oriente per salvarsi dal voto di impeachment fissato per giovedì, ma le sue parole non sembrano aiutare (anzi) i repubblicani incerti a sciogliere i loro dubbi in suo favore; il vice Albert Gore «scende in campo» per attaccare la leadership repubblicana per essersi rifiutata di consentire che si voti anche sulla suda mozione di censura; i democratici si «appellano al popolo» per ottenere che quel voto venga permesso e i potenziali candidati repubblicani alla corsa presidenziale del 2000 fanno i pesci in barile. L'ultima cose detta da Clinton (a Gaza, dove si trovava per fare da testimone alla formale rinuncia dei palestinesi di perseguire la distruzione di Israele) è un appello a un «ragionevole compromesso». «L'ho già offerto e lo offro di nuovo», ha detto, perché una cosa come il processo cui il Senato dovrebbe sottoporlo per mesi, nel caso in cui la Camera votasse per l'impeachment, «non è nell'interese del Paese». E siccome tutti sanno che è estremamente improbabile che il Senato possa mettere insieme i 67 voti necessari per cacciare il Presidente dalla Casa Bianca, e altrettanto bene sanno che la grande maggioranza della gente non vuole che se ne vada, ecco che il suo messaggio «sostanziale» ai deputati è estremamente esplicito: mandarmi sotto processo è inutile, non riuscirete comunque a liberarvi di me e per di più vi inimicherete molti dei vostri stessi elettori. Se questo basterà a indurre i repubblicani incerti a schierarsi contro l'impeachment di Clinton nessuno lo sa, ma si sa che molti di loro hanno mostrato una certa «delusione» per i messaggi arrivati finora dal Medio Oriente. Per «perdonare» il Presidente, dicono in sostanza, abbiamo bisogno di due paroline, «Ho mentito», ma siccome Clinton si guarda bene dal pronunciarle (perché si condannerebbe a un processo perduto in partenza il giorno stesso della fine del suo mandato), loro cominuano ad essere torturati dal dubbio. Anche così, comunque, le possibilità di Clinton di salvarsi rimarrebbero abbastanza buone se i suoi sostenitori riuscissero a vincere l'altra battaglia, asprissima, che si sta combattendo in queste ore: quella per portare al voto di giovedì della Camera, oltre ai quattro capi di imputazione già approvati dalla commissione Giustizia, anche la mozione di censura che quella commissione, invece, ha bocciato. In questo modo i deputati, non trovandosi di fronte l'alternativa impeachment-o-niente (cioè massima punizione o nessuna punizione) potrebbero esprimere un voto più «sereno». Newt Gingrich, l'ex presidente della Camera rimasto silente dalla batosta elettorale del 3 novembre, è riapparso per sottoscrivere assieme al suo successore designato, Bob Livingston, l'annuncio che la messa ai voti della mozione di censura era stata negata. Albert Gore li ha pubblicamente esortati a «riconsiderare» la cosa perché «il compromesso è ciò che il popolo americano vuole» e Richard Gephardt, capo dei deputati democratici, ha preso a studiare tutte le possibili pieghe del regolamento per trovare il modo di «imporre» la messa ai voti della mozione di censura, considerando anche la possibilità di «appellarsi al popolo». Insomma i giochi sono in pieno svolghnento e colpisce il fatto che da essi si siano praticamente chiamati fuori i possibili candidati repubblicani alla Casa Bianca. Tace George Bush Junior e tace Steve Forbes (che pure è uso fare comunicati su qualsiasi cosa). L'unico a parlare è Dan Quayle. Il voto deve essere bianco o nero, cioè solo sull'impeachment, ha detto, e «indovinate come voteri se fossi un deputato». Franco Pantarelli £ Gore scende in campo per la prima volta: lo vuole tutta l'America sm«gcOs Hillary Clinton e Suha Arafat in abiti tradizionali in un campo di rifugiati

Luoghi citati: America, Gaza, Israele, Medio Oriente, New York