«Basta sanzioni alla Libia»

«Basta sanzioni alla Libia» «Anche nel Mediterraneo deve finire la Guerra Fredda». E il raiss: aiutateci, diventeremo la vostra porta per l'Africa «Basta sanzioni alla Libia» Cossiga 3 ore faccia a faccia con Gheddafi SIRTE DAL NOSTRO INVIATO «E poi, signor Presidente, c'è la questione Lockerbie...». Già da un'ora sotto la tenda nel deserto, Francesco Cossiga questa domanda se l'aspettava dal 20 novembre, il giorno dell'invito. «Rais Gheddafi - lo interrompe - come lei saprà non ho alcun mandato dal governo del mio Paese». Il colonnello lo sa bene, ma non importa. Ha deciso che l'Italia può essere amica, che Cossiga è un amico e «in Libia sarà un invitato permanente». E all'amico Cossiga di Lockerbie può parlare. All'araba. Non chiede aiuto, non detta condizioni, non ha accuse. «In modo molto misurato - racconta Francesco Cossiga - mi ha esposto le sue ragioni». Parlarne è come porre il problema, investirne l'interlocutore. Che Gheddafi, dieci giorni dopo l'incontro con Kofi Annan (il quale ieri sera ha detto di ritenere «molto vicina» la soluzione del caso Lockerbie), riprenda il discorso con Cossiga è già un segnale. «Perché, se accetto le condizioni per Lockerbie, le Nazioni Unite non cancellano le sanzioni e l'embargo, ma semplicemente lo sospendono? Vogliono tenerci sotto torchio come l'Iraq?». L'Italia, è il messaggio, potrebbe premere sulle Nazioni Unite e aiutare la Libia ad uscire dall'isolamento. In cambio Gheddafi è pronto ad offrire tutta la sua «disponibilità a diventare la vostra porta privilegiata per l'Africa. Mali, Niger, Nigeria, Ciad. Voi non siete come Usa, Germania e Francia». Con il colonnello beve tè alla menta e parla per quasi tre ore. «E' andata benissimo», dirà dopo l'incontro Cossiga. Gheddafi ha rilanciato la questione Lockerbie. «Adesso i due sospettati li fanno proces¬ sare in Olanda e nessuno ci ha detto niente, l'ha deciso il Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Noi glieli diamo, ma non ci potevano pensare prima? Ci avrebbero risparmiato sette anni di sanzioni. E poi perché, se li condannassero, tenerli in prigione in Scozia? Noi questo non possiamo accettarlo, e lo dico per i parenti...». Parla di terrorismo. «Angola, Mozambico e Sudafrica ora sono tutti Paesi indipendenti. E noi libici, solo per averli aiutati ci teniamo la fama di terroristi. Quando succede un fatto terroristico e non trovano gli autori dicono sempre che sono i libici». Rivela a Cossiga un episodio inedito: «Si ricorda quando gli italiani vennero espulsi dalla Libia nel '70? Bene, accadde che alcuni miei ufficiali, per ritorsione nei confronti dei 20 mila libici rinchiusi nel campo di concentramento dal generale Graziani, volevano sequestrare 20 mila italiani e chiedere i danni dell'occupazione. Ecco, per evitare quel sequestro, so¬ no stato io a decidere l'espulsione degli italiani». Per salvarli. Cossiga è davvero soddisfatto. Per il futuro dei rapporti con la Libia e forse (proprio) per Lockerbie. «Capisco che su questa vicenda, per il bene del suo popolo, non accetta quelle condizioni, ma si assoggetta. Quello che posso fare, per un fatto di amicizia, è riferire al mio ritorno a Roma». Quando si salutano, Cossiga vuole che Gheddafi resti sedu¬ to. «Anch'io ho avuto una gamba rotta come lei. La prego di non alzarsi». Gheddafi ha una richiesta per il colonnello Orlando, il capo scorta di Cossiga: «Mi può far avere un libro sulla storia dei carabinieri? Voi siete famosi». Ultima tappa il Congresso del Popolo, discorso al Parlamento. «In Italia la guerra fredda nelle nostre coscienze è finita con questo governo. Deve finire anche nel Mediterraneo». Deputati in piedi. Gran finale con applausi. E Cossiga può ripartire soddisfatto per Tripoli. Sull'aereo una sorpresa, viaggia anche Ghennadi Zuganov, il segretario dei comunisti russi. La guerra fredda è finita. Un'avventura nel deserto questo viaggio di Francesco Cossiga in Libia. E avventura nell'avventura le tappe di avvicinamento all'accampamento del Colonnello. «Dite al Presidente che gli verrò incontro», fa sapere domenica mattina. Appuntamento per la sera, nel deserto della Sirte, Cossiga è ospite di riguardo, e all'aeroporto di Tripoli lo aspetta il Boeing 707 del Colonnello. Fiori di carta, tavoli in radica, divani in pelle, un impianto di trasmissioni da torre di controllo. Arrivo a Sirte, attesa in una delle residenze di Gheddafi. Ma il Colonnello è ancora nel deserto, viaggia lento tra le dune e nella pioggia con la sua carovana da beduino del 2000: enormi caravan, scorte, jeep con antenne satellitari sul tetto. Non ce la farà per la notte. Ieri, alle 11,40 in Italia, il via libera. Autorizzati all'incontro Enzo Carra che l'ha organizzato, Cossiga e il nipote Luigi Cremoni che l'accompagna. «Viaggio bellissimo - dice l'ex Capo dello Stato - in un deserto di pietre, di sabbia e luce». Prima in macchina, poi in Mercedes. Prima in una tenda dai tappeti tricolori bianco, rosso e verde, poi in una più austera, solo una tv a distinguerla, che da Sirte trasmette in diretta il Congresso del Popolo. E' la tenda del Colonnello. «Originale, autentico, semplice - lo racconta Cossiga che si improvvisa cronista - barracano marrone, cappello nero, camicia bianca di seta. Un gran signore che ha la consapevolezza di essere il leader carismatico. Ma senza esaltazione. Molto riguardoso. Gentile. Niente a che vedere con certa vignettìstica o certe descrizioni giornalistiche». Dal deserto della Sirte un pensierino finale per Silvio Berlusconi: «Mi sembra proprio che il rais si senta un unto del Signore». Giovanni Corrati L'avventuroso viaggio tra le dune poi l'incontro con il colonnello L'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga