Professionisti dei motori di Claudio Giacchino

Professionisti dei motori Professionisti dei motori Unico destino in tre vite spezzate TORINO. «Chi erano». Che tristezza dover cominciare così a raccontare l'«ufficiale gentiluomo», «il napoletano verace Gegè» e l'«awocato dei motori». Ossia, raccontare Paolo Cattalini, Gennaro Amiranda e Giovanni Monda le cui giovani vite il lavoro aveva fatto incontrare nell'estate di quattro anni fa e la morte ha portato via tutt'insieme ieri mattina. Al comando dell'elicottero c'era Paolo Cattalini: maggiore, era nato a Tirano (provincia di Sondrio) nel gennaio 1960. Un Rodomonte era Paolo: madre natura gli aveva regalato un fisico hollywoodiano, capelli bruni e occhi chiari su quasi due metri di apollinea statura. La pacatezza dell'eloquio, la cortesia del comportamento gli erano valsi il soprannome di «ufficiale gentiluomo». Persona squisita, lo ricordano i colleghi, e di notevole fascino. Il fascino dei grandi conquistatori di cuori femminili: l'aveva tenuto lontano dal matrimonio sin quasi alla soglia degli ((Anta». Però, giunto in Piemonte, nell'agosto di quattro anni fa, anche l'affascinante maggiore aveva ceduto. In primavera avrebbe detto addio al celibato. Aveva già preso casa e con la fidanzata, una ragazza torinese, aveva appena finito di arredarla. A Volpiano era arrivato dall'esperienza di comandante dell'elinucleo di Olbia: dopo l'Accademia di Modena, aveva diretto i reparti di Roma e Fossano, era considerato uno dei più esperti piloti d'Italia. Il maresciallo capo Gennaro Amiranda era per tutti «Gegè». In virtù di quella strana, misteriosa attrazione che unisce i contrari, «Gegé, il napoletano verace» formava con Cattalini una coppia di ferro. E, del maggiore, Amiranda era davvero l'antitesi. Nel fisico e nel carattere; minuto quanto l'altro era atletico, versatile, estroverso quanto riservato e di britannico aplomb «l'ufficiale gentiluomo». Amiranda lascia la moglie, maestra elementare a Leynì, e due bimbi di 9 e 5 anni. Era nato a Napoli nell'agosto 1962, dall'aprile 1987 lavorava a Volpiano. «Gegé, che secondo pilota eccezionale» dicono i colleghi. Ma, di lui, ricordano anche la straordinaria verve, l'arte tutta napoletana dello scherzo. «Pensi, quando giunse qua, nella primavera di undici anni fa, aveva portato la moglie a vedere una cascina diroccata spiegando mogio mogio "Scusami, non ho trovato di meglio, abiteremo qua". La m.glie era allibita, Gegè s'era goduto per alcuni secondi lo smarrimento della sua donna poi aveva sorriso "Ma dai, hai forse creduto che porterei te e i pargoli qua dentro?"». Era diventato pilota dopo aver servito lo Stato a Palermo partecipando alla lotta contro la mafia, le inchieste ne avevano fatto un bersaglio dei killer delle cosche e l'Arma l'aveva mes¬ so in salvo mandandolo sugli elicotteri. Tragica ironia del destino: per sfuggire una morte probabile è andato a lavorare in un reparto dove la morte l'aspettava. Ripeteva spesso Gegé: «Sugli elicotteri ho incontrato una sola difficoltà: le vertigini. Problema superato, comunque, in fretta». Tant'è che il maresciallo aveva maturato un'esperienza di oltre 3000 ore di volo «imparando tutto ma proprio tutto - ricordano i carabinieri -. Aveva acquisito la capacità di cavarsela in qualsiasi situazione». Giovanni Monda, maresciallo ordinario, aveva da poco ripreso gli studi di legge e qualche collega l'aveva subito battezzato «ecco l'avvocato dei motori». Perché per quest'atletico maresciallo di 33 anni, sportivissimo e innamorato delle immersioni, i motori degli elicotteri non avevano segreti. Dal maggio 1994 Giovanni era motorista a Volpiano. Nato in Svizzera da una famiglia di emigrati, era divorziato, aveva un figlio di 5 anni, Andrea. Abitava nell'hinterland torinese, a Rivoli. Aveva frequentato la scuola sottufficiali carabinieri di Firenze e prestato servizio a Como. Claudio Giacchino Qui accanto, Paolo Cattalini, a destra Gennaro Amlranda, in basso, Giovanni Monda