In caserma il giorno del dolore
In caserma il giorno del dolore In caserma il giorno del dolore / compagni: volare era il loro sogno Cm TORINO " E' nebbia e freddo sulla caserma del Nucleo elicotteri. Nebbia e dolore negli occhi rossi dei colleghi in tuta da pilota, che vanno a rendere omaggio alle vedove e che parlano «del comandante/), di Monda e di «Gegé». Era grande e grosso, il maggiore Paolo Cattalini: era un metro e novanta, pesava cento chili. Nel ricordo dei suoi uomini fa pensare al capitano degli alpini di Jahier. Raccontano che diceva sempre «Ho le spalle larghe, io. Dio me le ha date per portare anche i vostri pesi. Ditemi tutto sempre, io vi difenderò, su queste spalle ci sta tutto». Raccontano di «Gegé», il secondo pilota: Gegé il maresciallo capo, il napoletano dalla battuta pronta con un'esperienza lunga tremila ore di volo: «Io ricorderò sempre la sua mano, fuori dal finestrino, prima del decollo. Io stavo a terra, lui metteva fuori la mano e diceva ridendo "vieni qui, batti cinque, prima che saliamo"». La lunga processione dolorosa dei piloti si snoda dal Comando agli alloggi di servizio, da questi alla carcassa dell'Agusta 109. Poi di nuovo dall'elicottero disfatto agli uffici. Vanno e vengono nella nebbia sgomenti, su e giù a fare la spola, passano e ripassano addolorati, vanno a vedere e rivedere i compagni morti. Il più anziano dice che ((tutta l'Arma è una famiglia, ma qui è come se lo fosse ancora di più. Siamo pochi, siamo come fratelli. Stiamo più tra noi che con le mogli. Insieme in volo e poi in caserma, e alla fine nasce un rapporto grosso... Mi scusi, vorrei dire tante cose di loro, vorrei onorare i miei colle- ghi raccontando il loro coraggio, la loro fierezza, le mille volte che hanno salvato delle persone, che hanno arrestato dei malfattori. Mille ne abbiamo fatte, di operazioni insieme. Eppure ho la testa vuota, sono confuso, non mi viene in mente niente. Prima che nascesse l'elisoccorso c'eravamo solo noi, a volare in montagna e portar giù feriti, traumatizzati gravi, organi da trapiantare ed équipe mediche. Era gente con il cuore grande». Un collega in divisa non vuole dire niente, cammina svelto, va via con una smorfia contratta sulla faccia. Ma poi torna indietro e dice: «Lo scriva, Monda aveva ripreso gli studi, s'era iscritto a Giurisprudenza, voleva laurearsi come il comandante, ci teneva tanto». Il colonnello Tullio Del Sette è terreo, sembra vicino a piangere persino lui. C'è un maresciallo grande e grosso che dà ordini secchi, manda militari sopra e sotto, e dice: «Noi non siamo eroi. Nessuno qui lo è, volare è il nostro mestiere. Corriamo dei rischi, certe volte paghiamo dei prezzi alti». La nebbia ricomincia a infittirsi, fa quasi buio. Le fotocellule illuminano a giorno i pezzi bruciati dell'Agusta, i piloti vanno con i pugni chiusi spinti in fondo alle tasche e le mascelle serrate. «Siamo dei privilegiati, noi. Siamo gente che è riuscita a volare. Per noi volare non è questione di coraggio, è una passione. Siamo dei fortunati che sono riusciti a coronare un sogno, affrontiamo con professionalità e serietà qualcosa che per noi è stupendo. Com'era entusiasta, Monda, di volare». «Sono qui dal '79, l'ho visto crescere, Gegé. Adesso «Noi non siamo eroi Questo è il nostro mestiere e a volte dobbiamo pagare un caro prezzo » «Prima di decollare "Gegè" ha messo la mano mori dal finestrino e mi ha salutato ridendo» dekòmmFutoni le lacrbme
Persone citate: Jahier, Monda, Paolo Cattalini, Tullio Del Sette
Luoghi citati: Torino
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