UN VELARIO NERO

UN VELARIO NERO UN VELARIO NERO CI vuole coraggio, ma per una volta proviamo. Rifiutiamo la festa, disertiamo i discorsi ufficiali, boicottiamo l'inevitabile tema scolastico, copriamo, come facevano gli antichi romani, la dichiarazione dei diritti dell'uomo con un lugubre velario nero. Lasciamo che a celebrare siano gli ex dittatori che si sono fatti puntigliosamente rieleggere con urne «democratiche», e continuano, monolitici, grossolani, immutabili a rieducare con la galera gli stessi oppositori di prima. Lasciamo che i discorsi li pronuncino i diplomatici che proclamano a gran voce le serene, apollinee stagioni della diplomazia etica e poi le correggono con l'eterno acido della realpolitik. Lasciamo che restino soli a baloccarsi con il nuovissimo tribunale penale internazionale i Savonarola di cartapesta che frequentano senza rimorsi Milosevic, Li Peng e Kabila. Noi restiamo, in silenzio, a meditare sul fatto che i diritti dell'uomo non sono, purtroppo, ancora diventati una religione che viene a scrollare il mondo. Sfogliamo mestamente i dossier di Amnesty International ormai spessi come enciclopedie. I diritti sono parole solubili nella diplomazia? Quale dose è necessaria perché la politica estera e interna degli Stati sia all'altezza dell'obbiettivo etico che invoca il leader inglese Tony Blair? Guardiamoci attorno. L'Africa è un lungo elenco di tribolazioni. Chissà se festeggerà «la Dichiarazione» Arap Moi, presidente del Kenya dove si pratica il turismo esotico e la pulizia etnica? E c'è qualcuno che, tra un contratto minerario e l'altro, avrà il coraggio di leggerla al padrone del Congo, Laurent Kabila, che ha assistito senza batter ciglio al massacro di almeno duecentomila profughi olandesi? In America Latina i dittatori sono in pensione; ma pensate che abbiano qualcosa da festeggiare gli indios della selva e della Cordigliera, che non conoscono la parola diritto? E ancora: c'è qualcosa di diverso da un mesto silenzio se pensiamo ai diavoli scialbi che reggono la giunta birmana? O alle evidenti vergogne della più grande democrazia del mondo, l'India, dove bruciano le chiese ed è sempre di moda la caccia ai musulmani? E noi europei abbiamo davvero diritto di essere sereni, dal momento che Milosevic è sempre al suo posto? Riconosciamo almeno una fosca grandezza ai despoti della Città Proibita, gli unici che non hanno paura di apparire cattivi, non si camuffano con le maschere della ipocrisia, e continuano a definire i diritti umani una barbara e pericolosa abitudine da cui, meritoriamente, tengono al riparo i cinesi. Jean-Pierre Cot era ministro della Cooperazione di Francois Mitterrand. Proclamava ad ogni intervista che non viaggiava mai senza aver consultato come umanitario Baedeker il rapporto di Amnesty International. Sbagliava epoca, l'ingenuo. E comunque è stato licenziato. Domenico Quirico Foto in alto: piccoli profughi ruandesi.

Persone citate: Arap Moi, Domenico Quirico Foto, Francois Mitterrand, Kabila, Laurent Kabila, Milosevic, Tony Blair

Luoghi citati: Africa, America Latina, Città Proibita, Congo, India, Kenya