Storie di Città

Storie di CittàStorie di Città SI attendeva con una certa trepidazione il volume dedicato ai Torinesi nelle «Guide Xenofobe» delle edizioni Sonda, una piccola e coraggiosa casa editrice di Torino che pubblica tra l'altro i rapporti di Amnesty International. Le insolite «guide» hanno fatto molto per abbattere gli stereotipi sugli stranieri, che in un'epoca in cui tutti viaggiano rappresentano pericolosi inciampi alla comprensione tra i popoli. Così dopo le nazionalità (Tedeschi, Francesi, Americani, ecc.), si è passati alle cento torri dei comuni italiani. «Torinesi» di Riccardo Humbert (che è appena arrivato in libreria e venerdì 11 alle 18,30 viene presentato da «Druetto Investitalia» in corso Vittorio Emanuele 92), mantiene le promesse. Leggendolo con una matita in mano è forte la.tentazione di sottolineare certi passaggi e di scrivere sul margine bianco: E' vero! E proprio così! Sarebbe valsa la pena di lasciare qualche pagina bianca in fondo al libro affinché il lettore potesse aggiungere le sue personali integrazioni al ritratto - perfido e affettuoso insieme - che Riccardo Humbert fa della torinesità. Un ritratto che è anche una contro-guida della città. Spesso l'autore, per dare conto degli aspetti paradossali di Torino, usa con efficacia la figura retorica dell'iperbole, cara agli umoristi, come nel seguente passo: «Se l'ascensore della Mole è funzionante - e questo accade in rare occasioni come le ostensioni della Sindone, la vittoria della Coppa dei Campioni da parte della Juventus, il ritorno del Torino in serie A - non perdetevi l'emo¬ zione di una salita». Del resto, fin dalla quarta di copertina si comprende quale aria frizzante e scanzonata percorra quest'opera. Vi si trova il ritratto dell'autore ripreso sullo sfondo di ruderi smozzicati. La didascalia recita: «L'autore. Alle spalle il nuovo Palazzo di Giustizia di Torino dopo il corteo degli squatters». Perfetto. Nessuno ci toglie dalla testa che le autorità abbiano di proposito imposto quel percorso al corteo nella certezza che gli squatters, aizzati da quella vista, avrebbero demolito a sassate le vetrate, così da avere un buon motivo per rinviare il momento della verità, quando dovranno consegnare il manufatto ai suoi sfortunati destinatari. «Torinesi» è percorso dall'inizio alla fine da un tema costante che si riassume nella tipica lamentela: «Ci portano via tutto». Per spiegarne l'origine l'autore rielabora a modo suo lo sgangherato mito della fondazione della città, con il carro di Fetonte che volava troppo in alto (mai fare il passo più lungo della gamba!) e perciò cadde nell'Eridano, ovvero nel Po, sulla spiaggetta dove qualche millennio dopo sarebbe sorta la chiesa della Gran Madre. Un artigiano che lavorava il ferro sulla sponda opposta del fiume esclamò scocciato: «Proprio qui doveva cadere? Non poteva finire un po' più in là?». Cèfalo, il padre di Fetonte, si risentì e costrinse l'artigiano a emigrare a Milano per sfruttare una sua invenzione per rinforzare i metalli. «La maledizione, che prese il nome di sindrome di Fetonte, avrebbe poi perseguitato tutte le generazioni di torinesi a venire: tutto ciò che fosse stato ideato, creato e sviluppato sotto quel grottesco clistere chiamato Mole Antonelliana, sarebbe stato trasferito altrove». Deliziose le pagine che demoliscono l'immagine di Torino città magica: «Se arrivate in città evitate di domandare a un vigile: - Qual è il posto più vicino dove fanno le messe nere? Le messe nere si fanno ormai solo in collina, ma finiscono sempre con gigantesche grigliate e spiedini di pollo». A questo proposito mi permetto di fare una piccola correzione; l'obelisco con astrolabio che sorge in piazza dello Statuto non segna il passaggio del 45° parallelo che corre dalle parti di Mirafiori, esattamente all'altezza del Mau¬ soleo della Bella Rosin. Il singolare monumento ricorda padre Beccaria che tracciò il meridiano di Rivoli misurando la distanza fra questa città e il punto dove sorge l'obelisco. Molto articolati e frutto di un'esperienza di prima mano i ritratti dei meridionali a Torino e il racconto dei loro percorsi di integrazione. Così come la rassegna dei vari modi con i quali i torinesi designano le signore; all'elenco aggiungerei «tutun», che è la «tota» che invecchiando mette gli speroni e un'ombra di baffi, mascolinizzandosi come il nome; e la «ciamporgna» che è la casalinga sfatta e ciabattona. Disseminate lungo tutto il percorso il lettore trova definizioni illuminanti che vale la pena sottolineare: «Il torinese è infastidito da Torino, ma vorrebbe essere altrove per poterne provare nostalgia». Oppure: «Il torinese, senza saperlo, incute soggezione; anche perché ha grande soggezione di se stesso». Se da parte mia dovessi, a lettura ultimata, indicare la virtù che prediligo nei torinesi, direi, con un termine inglese che non a caso non trova l'equivalente italiano, che si tratta déìì'understatement. Quella virtù che risalta nel moto «Esageruma nen!», che Norberto Bobbio vorrebbe fosse scritto sullo stemma di Torino. Come recita la lapide sotto il monumento a Pietro Micca: «Accese le polveri conscio di certa rovina». Trovo sublime il gesto di una nostra amica che, per recarsi in un ospedale dove le avrebbero estirpato un tumore, ha .voluto prendere 0 tram. Mai dargliela vinta al male. Ancora una volta, esageruma nen.

Persone citate: Beccaria, Druetto, Eridano, Norberto Bobbio, Pietro Micca, Riccardo Humbert, Rosin

Luoghi citati: Milano, Rivoli, Torino