IL DIABOLICO KING PER DIVENTARE ADULTI

IL DIABOLICO KING PER DIVENTARE ADULTI IL DIABOLICO KING PER DIVENTARE ADULTI Faeti indaga il valore educativo deWhorror RA le pieghe del catalogo Einaudi Ragazzi spunta, per il momento timidamente, una collana che pare nata per attrarre l'attenzione di genitori, educatori e docenti, intitolata con grande modestia «Memorandum». Diretta da Pino Boero, noto studioso di letteratura per ragazzi, è stata inaugurata dalla splendida Grammatica della fantasia di Gianni Rodati, cui ha fatto seguito il bel saggio dello stesso Boero Alla frontiera: Momenti, generi e temi della letieraturaper l'infanzia. In questa collana è uscito come quinto volume uno studio assai interessante di Antonio Faeti, un altro maestro di questo piccolo e grande filone letterario, dal titolo La casa sull'albero: Orrore, mistero, paura, infanzie in Stephen King, un titolo quasi scontato per chi dedica la propria attenzione alle letture, ai miti e ai libri/cult delle nuove generazioni. Da molti anni ormai l'autore di It è uno dei punti focali dell'acceso dibattito nel quale tutti noi, se non altro in quanto geni tori, siamo coinvolti. Sono, le sue opere, educative o disecucative? Stimolano alla violenza, alla scelta dell'irreale, all'abuso di un linguaggio ritenuto «osceno»; o costringono invece i nostri ragazzi a grattare sotto la superficie, ad andare in cerca dell'«oltre» e dell'«altro», a non fidarsi delle apparenze, a rifiutare il perbenismo di una visione di maniera del nostro mondo, e dei valori e degli ideali che ad esso fanno riferimento? Faeti, come appare fin dalla sua introduzione entusiasta e decisa, priva di reticenze e di falsi pudori, opta senz'altro per la seconda prospettiva. Il titolo stesso del suo volume è volutamente programmatico. La «casa sull'albero» è il luogo dell'altrove, il reale vero che si cela al di là dell'illusorio specchio di Alice, lo spazio privato dove il bambino si rifugia per mettere in discussione i criteri dei «grandi» e scegliersi i propri. Cioè, in poche parole, il luogo della maturazione e della crescita; la sede di un rito di passaggio (come in Tom Sawyer o in Huck Finn di Mark Twain) dove si sperimenta la possibilità di farsi adulti. E farsi adulti, secondo Faeti, significa anzitutto scoprire l'inferno laddove tutto appare paradisiaco, cercare il buio dove la luce sembra dominare in¬ contrastata, mettere a nudo l'orrore non già dove è naturale che esso si trovi (nei luoghi squallidi e malfamati, nelle zone di pericolo, nel ventre delle grandi metropoli), ma all'interno dell'attraente e zuccherina casa di marzapane. E' dove la bellezza tenta e seduce con la sua apparente innocuità che, come in certi romanzi di Ray Bradbury, stanno in agguato l'orco e la strega. Per usare una metafora che a Faeti potrebbe piacere, il nascondiglio ideale di Barbablù è il luna-park. Certo, Stephen King usa un linguaggio quotidiano che un'arcaica pedagogia un po' bacchettona condanna per la sua parlata troppo sovente incline alla coprologia e alla genitalità (peraltro in un contesto il più delle volte sessuofobico), abbonda di scene «vietate ai minori» (proprio quelle in cui i «minori» amano sguazzare, ma con minor ambiguità e compiacimento dei propri ascendenti), induce e coltiva la paura, giocando quasi senza tregua sul sanguinolento, il grandguignolesco e il teratologico. Ma tutto ciò per Faeti, alla resa dei conti, ha a che fare in termini maledettamente concreti con il problema della vita e della morte. E crescere significa appunto prendere coscienza di questo problema e confrontarsi con es¬ so. L'orrore di King, d'altro canto, non si fonda tanto sull'immagine del mostro quanto sul concetto di mostruoso: cioè di qualcosa che non trascende metafisicamente la realtà ma che in essa si annida. Esemplari, al riguardo, le sue considerazioni sull'obesità, influenzate probabilmente da certe pagine di Baudrillard, e sul significato profondo del doppio con tutti i suoi corollari (specchio, sosia, gemello, alter ego antagonistico, come nel caso della matrigna cattiva di Biancaneve). Il mostruoso non è un'«altra» realtà, più o meno immaginaria o fantastica; bensì il livello massimamente reale di un mondo che si affaccia alla nostra percezione sotto il velo del fascinoso e dell'insuperabilmente bello e perfetto. Per presentare tutto questo, conclude Faeti, bisogna essere dei grandi «Raccontafiabe»; seguire le strategie della narrazione orale come hanno fatto i maggiori scrittori popolari, da Sue a Hugo, da Verne all'autore delle Mille e una notte, da De Amicis (l'autore ricorre spesso a referenti italiani: Cecchi, Ojetti, Salgari e cosi via) a Poe, primo ritrattista, per certi versi tuttora insuperato, di un'«America amara» che tutti noi smascheriamo in sede teorica ma nella quale siamo comunque ansiosi, sebbene increduli, di immergerci fino al collo. Proprio in questa sua vocazione di perverso Pifferaio Magico sta, se non la grandezza di King, almeno la ragione del fascino che egli esercita sulle giovani generazioni di tutto il mondo. Un fascino (a giudicare dalla passione incontenibile che Faeti riversa nel proprio studio) dal quale anche gli adulti rischiano di essere contagiati. Ruggero Bianchi Affascina i giovani come un pifferaio magico, esprime la necessità di anelare in cerca dell'altre e dell'altro, di rifiutai? il perbenismo