IL CONSIGLIO

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO Liala PAMELA la cameriera, insidiata dal padrone libertino, resiste alle tentazioni e serba il fiore della sua verginità, inaugurando, nelle pagine del tipografo inglese Samuel Richardson, una nuova letteratura, rivolta al consumo femminile e prevalentemente scritta da donne. Era il 1739. Sempre in Inghilterra, tra il 1760 e il 1800 comparvero circa 200 romanzi costruiti sul modello del libro di Richardson. Lessico e sintassi risapute, piglio scolastico per drammatiche vicende amorose al centro delle quali s'inscena, ed è la prima volta, l'immaginario femminile. Nel contrastato emergere di una consapevolezza di là da venire e trattenuta tra le mura della dedizione a un mondo d'interiorità fievolmente opposta alla rozza carnalità dell'altro polo, quello positivo, quello maschile. Antonia Arslan, già curatrice di un epistolario della passionale e malinconica Neera, s'industria nel mettere a fuoco il luogo della letteratura «rosa» italiana nel volume Dame, galline e regine, la scrittura femminile italiana fra '800 e '900 (Guerini e associati, pp. 220, L. 32.000). Un luogo in cui si intersecano nuovi, potenti fenomeni sociali (l'ingresso della donna nella scuola) e letterari (ad esempio, la diffusione di massa del dannunzianesimo: in forma, si veda Liala, epurata dagli eccessi erotici del Vate; ma anche i complessi e tardi echi italici del romanzo di Balzac), in incessante ma occulto dialogo con una letteratura «ufficiale» alla quale fu proprio la scrittura femminile ad apportare, e più di quanto ci si aspetti, nuova linfa vitale. Opere come quelle di Neera, della Marchesa Colombi, della Contessa Lara e di Matilde Serao, cantrici di destini femminili sconfitti ed orgogliosi, hanno un valore letterario ed una cifra stilistica molto forte: quella dello scrivere «sciatto», secco e diretto, di matrice psicologica e a ben guardare in tutto propria a quella nascente linea novecentesca che ha avuto in Svevo e Pirandello le sue punte di diamante (ma si pensi anche al processo che portò Verga dal Marito di Bena ai Malavoglia). Una letteratura, quella nella quale si addentra l'Arslan, «consumata» nei fasti dell'immediato (dimenticando che anche lo stesso Croce, curatore nel 1942 di un'antologia di scritti di Neera, fu un acuto e partecipe critico di quelle pagine) e lì colpevolmente relegata dalla pigrizia di una critica incapace di problematicizzare ancora prima di vedere i rapporti tra letteratura «alta» e letteratura «di consumo». Ecco allora legioni di ragazze non sposate, instristite nel fondo della provincia italica ma anche spregiudicate eroine emblemi dei contrasti di fine secolo, dove intenti didattici e consolatorie ansie d'evasione s'intersecano senza soluzione di continuità rendendo febbricitante e spurio il modello forte del romanzo d'appendice: la scrittura femminile italiana fra '800 e '900 fu davvero un laboratorio vivissimo (e merito dell'Arslan è mostrarcelo con lucida passione) da cui ancora possiamo attingere molto. Per capire «la metà oscura» della nostra letteratura. Dove letteratura, giornalismo, istanze «progressiste» e conservatrici, coercizione dei propri istinti nel raggelante perimetro della quotidianità e sogni esotici di liberazione restano fotografati per sempre, sbiaditi forse dal tempo ma funzionali a riportarci della nostra letteratura non l'instaurazione dell'esemplare ma la complessità vitale dello sviluppo. di Aldo Nove Liala

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