SHOPPING : NON SPRECO MA RITO SACRIFICALE

SHOPPING : NON SPRECO MA RITO SACRIFICALE SHOPPING : NON SPRECO MA RITO SACRIFICALE La provocatoria tesi di un antropologo inglese ARE la spesa tutti i giorni al supermercato può essere per una donna addirittura un modo specialissimo di fare l'amore, di far scattare sentimenti perbene come la sollecitudine, il senso di responsabilità e altri ancora. Poeticità di donne arcaiche e smarrite? Bizzarria di un'interpretazione? A sentire l'antropologo Daniel Miller, niente di tutto questo. Miller è un simpatico signore di mezza età che viene dall'archeologia, che insegna a Londra, allo University College, e che applica con bella disinvoltura ai nostri fatti d'oggi, anche minimi, quel che si sa sulle civiltà lontane nel tempo o nello spazio. S'è messo così a contrastare ad esempio le interpretazioni correnti del fare la spesa. Basta con gli stereotipi dell'edonismo consumistico, del narcisismo alienato e tronfio. E basta con la spesa vista soltanto come distintivo di categoria sociale o come fenomeno degno d'interesse per gli strateghi del marketing. C'è dell'altro. Miller è andato sul campo, come si dice, in una strada di Londra nord, e ha avvicinato 76 famiglie: ha spin¬ to il carrello nei negozi parlando con le signore e i loro mariti. Gente semplice, classe popolare o media, dai bilanci in bilico. E' insomma entrato in confidenza, ha raccolto molto materiale e ha scritto un libro complesso, dotto e spigliato insieme, Teoria dello shopping. Shopping da intendersi come routine quotidiana, esercizio continuo di devozione. Ecco il punto. La devozione: lo shopping si comprende nella sua essenza più nascosta se teniamo presente quel che avveniva nientemeno in un sacrificio. Lo shopping presenta sorprendenti analogie proprio con il sacrificio. In tutti e due i casi ciò che importa è il pensare, il costruire un altro soggetto da cui ci si aspetta favore e fortuna: nel sacrificio è la divinità, nello shopping è la famiglia, il marito (o la moglie) e i figli. Nel fare la spesa sono compresi molti sentimenti, anche contraddittori, ma in primo luogo scorre un fiume di attese, di attenzioni, di gratitudini, di richieste silenziose. E poi, in tutti e due i casi, non viene consumato interamente ciò che si sacrifica o si acquista: nel sacrificio, la parte migliore dell'animale, o dei cereali e delle verdure, veniva offerta al dio; soltanto ciò che restava era consumato dalla comunità. Così nella spesa: non tutto il denaro viene consumato, diventa cibo o altra merce, perché una parte è salvata nel risparmio. Il risparmio, per l'antropologo Miller, è molto importante: sottrae l'acquisto quotidiano al destino di semplice soddisfazione d'un bisogno e gli dà un'aura, lo nobilita con un progetto etico, con un'idea di futuro. L'idea del sacrificio è un «piede di porco intellettuale per estrarre lo shopping dalla nicchia convenzionale» delle attuali interpretazioni. Così dice Miller. E' un'idea valida? E come viene accolta? Lo scrittore Aldo Nove, auotre di Puerto Piata Market, la trova interessantissima. Nove, si sa, gioisce e patisce l'universo delle cose esposte nei supermercati, racconta dell'estasi iniziale, dell'annientamento beatifico che lo coglie in un supermercato: «Circola un enorme investimento libidico. Ogni merce, per essere venduta, dev'essere attraente, erotica. Anch'io rispondo. Mi dedico ai giocattoli, ai gusci salva-telecomando, alle cose inutili. Impossibile non avere l'anima coinvolta: se uno dice di no è un cialtrone». Però poi Nove si sente «analitico-paranoico», in lui si agitano Bataille, Marx, Barthes e Baudrillard, e allora critica quei paesaggi festosi avvertendo un disagio «come quando da piccolo mi portavano a Messa e non capivo il coinvolgimento di quelle persone in quel posto strano... Il fondamento della sacralità è l'esercizio del potere sui desideri altrui, e a Dio s'è sostituita la Philip Morris. Io ho preso a scrivere perché portato da queste cose qua. Reagisco con la consaspevolezza, con il sarcasmo». Le risposte a Miller si fanno ora contrastanti. Il supertecnico, il so¬ ciologo dei consumi Giampaolo Fabris, è secco e olimpico a suo modo: «Una stronzata. Questa di Miller è una forzatura che non trova riscontro nelle mie esperienze. Gli antropologi sono bravissimi a trovare analogie dappertutto». E poi ci sono le donne, protagoniste nel libro di Miller. Anche una studiosa femminista come Adriana Cavarero è distante: «Quelle descritte da Miller mi sembrano donne appartenenti a una vecchia immagine familistica. Nelle donne io trovo piuttosto furore, invasamento da shopping nel partecipare alla religione dello spreco». La storica della psicoanalisi Silvia Vegetti Finzi, che ha scritto un libro come Il romamzo della famiglia, invece condivide le idee di Miller, perché «essere casalinga oggi non è una condanna ma un privilegio, una delle cose più belle del mondo. E fare la spesa è un rito che ha un significato simbolico enorme nella logica degli affetti». E la parsimonia, virtù centrale e santificante? «Il risparmio è per la donna un valore, rende etica la spesa. Miller ha ragione». Conclusione. Al di là di giudizi così diversi, il libro di Miller può contribuire a diffondere da noi il gusto per questo tipo di ricerche, nate sulla fine degli Anni 70 con una Mary Douglas e un Pierre Bourdieu. Tale è almeno l'augurio di un giovane studioso, Gianluca Mantoani, che a Torino si va specializzando proprio in questa «antropologia del consumo». Lo shopping è per Mantoani «un'attività importante perché quotidiana e costosa, nel senso che richiede impegno, investimento affettivo. Se lo vediamo piccolo e ovvio, insignificante, questo dipende dall'idealismo che purtroppo pervade ancora la cultura italiana». Secondo lui si dovrebbe anche leggere il delizioso Unwrapping Christmas, «Spacchettare il Natale», di un altro antropologo, James Carrier, per capire il rito planetario dello scambio di doni in questi giorni. Claudio Altarocca Giampaolo Fabris, presidente dell'istituto di ricerche di mercato Adhoc - Gpf & Associati TEORIA DELLO SHOPPING Daniel Miller Editori Riuniti pp. 219. L 25.000

Luoghi citati: Londra, Torino