Quando Picasso era italiano

Quando Picasso era italiano Ricostruite a Roma le due grandi rassegne degli Anni 50 Quando Picasso era italiano Da «Guernica» al «Massacro di Corea» ROMA EL marzo del 1943, nella grigia cupa Parigi occupata dai tedeschi ma già percorsa da fremiti di speranza dopo Stalingrado, il fotografo Brassai, prezioso testimone di questi anni picassiani, entra nell'atelier di rue des Grands Augustins, chiamatovi da Picasso per fotografare i gessi delle sue nuove sculture: «E Picasso mi indica L'Homme à l'agneau che domina dall'alto dei suoi duemetri quel popolo di status. Nudo, ben saldo sulle lunghe gambe asciutte, la testa rotonda e calva (la faccia burbera somiglia a quella di Ambroise Vollard), il gigante stringe un agnello nella morsa delle sue possenti braccia». Il bronzo del Museo Picasso di Parigi, accompagnato dalla fotografia di Brassai, domina ora la mostra dedicata agli Anni dell'apogeo in Italia, dal 1937 di Guernica al 1953 delle due grandi mostre alla Galleria d'Arte Moderna di Roma e in Palazzo Reale a Milano, con catalogo Allemandi, a cura di Sandra Pinto e Bruno Montorsi. Allora un'irripetibile congiuntura permise all'Italia della ricostruzione, ma anche all'apice della guerra fredda e della contrapposizione fra democristiani e socialcomunisti, di mettere in piedi la più vasta antologica di Picasso fino allora mai organizzata, anche se il Massacro di Corea, oggi a conclusione simbolica della mostra, inviato da Picasso a Roma e rimasto nei depositi per espresso divieto governativo sollecitato dall'ambasciata americana, fu esposto solo nella \4ilano socialista. La volontà di Lionello Venturi e Palma Bucarelli di non perdere l'occasione si sposo con l'entusiasmo di Guttuso, trascinatore di un Partito comunista già freddo e renitente nei confronti di un compagno Picasso condannato da Zhdanov (per il ritratto litografico di Stalin nelle sembianze di giovane terrorista), senza dimenticare l'abilità diplomatica e finanziaria del vero motore della mostra, l'ex ambasciatore Eugenio Reale, ministro ombra togliattiano. Quanto alla socialista Milano, es¬ C'è ancasseceste boc sa seppe riportare per la prima volta in Europa da New York Guernica e il manifesto divenne una presenza d'obbligo in qualsiasi arredamento «democratico» e, caso allora ancor più eccezionale, far emergere dagli «infernotti» di Mosca i Picasso protocubisti, non ancora emigrati all'Ennitage. Oggi i 75 pezzi fra pittura, bronzi e ceramiche e grafica, oltre ad una serie stupenda di fotografie di quel soggetto magico e inesauribile che fu Picasso, da Man Ray a Brassai, a Capa corrispondente di guerra nella Parigi liberata, sono il massimo che la pubblica amministrazione artistica può permettersi pur nella sua fioritura veltroniana, per rievocare lo straordinario significato formale e ideologico del modello picassiajj.p nella cultura italiana della liberazione nei suoi presupposti e le mostre del 1953. Riesce comunque nell'impresa attraverso la qualità e l'intelligenza delle scelte e la trama intessuta fra studi grafici, che ripercorrono la vicenda da Guernica, con i due disegni di composizione dal Museo Reina Sofia di Madrid, fino agli studi per La guerra e lapaceàel 1952 dal Museo Picasso di Parigi, e capolavori pittorici: le teste urlanti e piangenti di Dora Maar, il Ritratto di Jaime Sabartés del 1939 che preannuncia le parafrasi da El Greco e da Velàzquez, le deformità drammatiche dei ritratti femminili, di Nusch Eluard, della Donna se- duta con cappello di pesci dello Stedelijk di Amsterdam, della Signora H, in collezione italiana. Si susseguono ancora le Nature morte col bucranio, di grandissima fortuna italiana da Guttuso a Morioni e Cassinari, quella del 1942 a Brera con la donazione Jesi certamente una delle prime note ai giovani italiani e quelle del 1952 della Tate Gallery e del Museo Picasso di Parigi, e i paesagg di solare recupero mediterraneo figurativo e cromatico, il Caffè a Royan del 1940 serenamente ignaro della bufera già scatenata, e la Fumata a Vallauris. Questa in proiezione, è un modello saccheggiato dal Guttuso siculo, ma dimostra anche che l'occhio rapace di Picasso si è posato in questo caso su Beckmann. Nei bronzi, un discorso analogo è proposto dalla famosa Capra, assemblata con un cesto di vimini per il ventre, due boccali da latte per le mammelle - un surreale anticipo di concettualità nei confronti di Cassinari, approdato ad Antibes proprio nel 1950. Ancora più impressionanti, in questo preannuncio in anticipo di vent'anni del «nouveau réalisme» e di Miróscultore, sono gli assemblaggi della Donna con carrozzina e della Donna incinta, l'una e l'altra memorie grottesche e sadiche della nuova donna, Frangoise Gilot, subentrata alla tempestosa Dora Maar. La piena solarità di pace nel definitivo approdo mediterraneo sarà invece rappresentata dalle ceramiche di Vallauris. Fra le altre è esposto anche il Piatto con colomba dal Museo di Varsavia, dono di Picasso al Congresso della Pace di Varsavia del 1948. E' un oggetto altamente simbolico della peculiarità di Picasso, «compagno» libero e apolitico per eccellenza, al quale Eluardcarpì la pura e semplice litografia di una colomba donata da Matisse per farne il simbolo dei «partigiani della pace». Marco Rosei Picasso 1937-1953: gli anni dell'apogeo in Italia Roma, Galleria d'Arte Moderna Fino al 14 marzo. Orario: 9- / 9 C'è anche la «Capra» assemblata con ceste di vimini e boccali di latte ééÌHI ■Mi «Massacro di Corea», 1951. All'epoca l'opera venne esposta solo nella Milano socialista, mentre a Roma rimase nei depositi a causa di una censura governativa su pressione del governo americano liberata, sono il massimo che bblica amrazione ar può perrsi pur nela fioritura niana, per are lo straordisignificato fore ideologico del lo picassiajj.p cultura italiana Greco e da Velàzquez, le deformità drammatiche dei ritratti femminili, di Nusch Eluard, della Donna se- a «Capra» ta con vimini di latte