Crisi in Asia di Domenico Quirico

Crisi in Asia Crisi in Asia Così è svanita la fiaba del greggio ERA un Eldorado. Ma di carta. Una lunga, interminabile carovana di carta: mappe geologiche dove il compasso piantava giacimenti immensi, scoperchiava forzieri di oro nero che pulsano e tribolano in attesa di una trivella che li porti alla luce, carte dove gli antichi percorsi sinuosi della via della seta si irrigidiscono nelle linee dritte, arroganti delle (future) pipeline. E ancora cifre: di barili da vendere per scaldare il tranquillo tran tran dell'Occidente, di dividendi, di meraviglie da costruire, di astronomiche mazzette per i forzieri dei nuovi ricchi. Nell'Asia Centrale, intorno al Caspio con le sue acque pesanti, avvelenate, bitumose, senza vita, in quel dimenticato museo che custodisce fedelmente i resti e i frammenti di cento popoli erranti tra Oriente e Occidente, tutto è di nuovo sottosopra. Il petrolio era un sogno con cui ammantare le miserie di un Oriente lugubre e decrepito, orlano perfino della lunga delusione sovietica. In Azerbaigian, nelle gelate immensità kazake dove un tempo il dito impietoso di Stalin tumulava gli uomini e le donne del gulag, già tracciavano, con i sicuri dividendi del greggio, nuove fiabesche città; scintillavano nella penombra le magnificenze del Kuwait e dell'Arabia, le mille e una notte firmate dagli assegni dell'Oro nero. Ma a diecimila chilometri di distanza la fiaba si è strappata. Uomini, indifferenti alla sorte di quel grande formicaio umano, ogni giorno, decidono un prezzo: quindici, undici, dieci dollari. Ecco: un barile di quell'oro costa oggi la miseria di dieci dollari. E i conti del sogno cominciano a crollare. Per trivellare occorrono grandi investimenti: e le Grandi Sorelle, ora che gli utili si assottigliano e devono riunirsi per resistere alla crisi, sono diventate giudiziosamente più avare. I nuovi oleodotti che dovrebbero pompare verso il Mediterraneo una ricchezza altrimenti inutile, evitando i ricatti del rugginoso condotto russo che passa per il Caucaso infido e brigantesco, costano quattro miliardi di dollari. Tanto, troppo. I vecchi satrapi sopravvissuti all'eutanasia dell'Urss, Aliev, Nazarbaiev, sognavano già di farsi nominare khan e re; ora sentono il mugolio inquieto di popoli derubati di mia illusione. Fra i mercanti russi di prima della rivoluzione circolava un proverbio: chi ha vissuto un anno tra i proprietari di petrolio di Baku non può mai ridiventare un uomo per bene. La capitale dell'Azerbaidjan è sempre stata una città selvaggia. All'inizio del secolo come oggi una vegetazione di migliaia di torri di pompaggio presidia l'orizzonte. Sono migliaia, un tempo di legno, ora di ferro, egualmente unte di grasso e di nafta. Lavorano senza posa: come gli operai che stentano la vita accanto a loro non hanno diritto di riposare. C'erano gli zar e già questa era la frontiera di un eldorado, dove vigevano leggi non scritte ma più osservate di quelle dello Stato. I padroni con diritto di vita e di morte non erano quelli che vivevano in palazzi di fiaba, circondati da circasse sinuose, leggiadre, dai grandi occhi, protetti da una guardia di bravi. 1 veri padroni erano gli mgegneri: per diventarlo non bastava avere conoscenze tecniche. Dovevano saper spegnere un incendio ma anche catturare un eventuale incendiario e trasformarsi in boia, versandogli in bocca, con un imbuto, petrolio o nafta fino a quando i presenti non svenivano per l'orrore. In città usciva, (esce ancor oggi) un giornale che si chiamava II lavoratore di Baku. Il capo redattore aveva la fronte bassa, e piccoli occhi cattivi abituati a vedere sangue e omicidi. Era un ex seminarista che stava scambiando il suo pseudonimo rivoluzionario di Niscerase con il più semplice Stalin. Sulle rive oleose del Caspio si odono, come allora, gli scricchiolii di una rivoluzione. Domenico Quirico

Persone citate: Aliev, Grandi Sorelle, Stalin

Luoghi citati: Arabia, Asia, Asia Centrale, Azerbaigian, Baku, Kuwait, Urss