Le trappole nascoste dietro un Euro forte di Alfredo Recanatesi

Le trappole nascoste dietro un Euro forte OLTRE LA LIRA Le trappole nascoste dietro un Euro forte ON la nascita - tra pochi giorni ormai - della moneta unica europea, al compiacimento per la sua realizzazione si uniscono dosi sempre più consistenti di preoccupazione per i suoi primi mesi di vita. Certo, fin da quando la moneta unica venne progettata si avevano ben presenti le difficoltà che sarebbero sorte per il fatto che essa non avrebbe avuto un retroterra istituzionale che ne potesse determinare una gestione armonica con gli assetti economici e sociali dei Paesi nei quali avrebbe avuto corso. Fin dall'inizio, anzi, la moneta unica era stata concepita come lo strumento attraverso il quale sarebbe stata resa ineluttabile una integrazione più totalizzante ed irreversibile, una qualche forma di unione delle istituzioni politiche, che appariva altrimenti irrealizzabile almeno entro l'orizzonte della storia prevedibile. Ora, dunque, ci siamo: la moneta unica è sostanzialmente una realtà che rende chiaro il senso di quella voluta e prevista forzatura soprattutto per due sostanziali aspetti, l'armonizzazione fiscale e la gestione del cambio. Gli effetti della disarmonia fiscale emergeranno col tempo, via via che la liquidità in euro tenderà a concentrarsi nei Paesi nei quali la tassazione sui redditi da capitale, sulle transazioni finanziarie e, si potrebbe dire, sull'intera attività bancaria sarà più leggera; gli inconvenienti si produrranno con una certa gradualità che concede tempo per rimediarvi e per comporre il non lieve disaccordo che esiste in materia. Più immediati, invece, potrebbero essere gli effetti di una gestione del cambio che puntasse ad un curo forte o, più semplicemente, non ne ostacolasse uno spontaneo apprezzamento. Da tempo andiamo avvertendo sui rischi di una gestione del cambio che, in assenza di un potere politico che ne abbia la giurisdizione, finisca per essere pertinenza esclusiva delle banche centrali. Solo ora, con l'euro alle porte, questo tema ha cominciato finalmente ad ottenere la dovuta attenzione da parte dei governi i quali, sostenendo pleonasticamente che l'euro non deve essere «né debole, né forte», mandano in realtà a dire che l'euro non deve essere forte. Ed infatti, assorbito il compiacimento per un euro che ha difeso l'Europa dalle turbolenze che in questi ultimi mesi haimo scosso il resto del mondo, si va realisticamente prendendo atto che questa difesa è stata assai valida per i valori monetari (la moneta, le obbligazioni, i titoli pubblici), ma non altrettanto per i sistemi economici. Anzi, si è verificata una sorta di divaricazione, nel senso che quell'integrazione monetaria che ha validamente I difeso il valore dei risparmi ha I avuto un prezzo nella debilità- zione delle economie europee, uscite affaticate, spente dallo sforzo compiuto per l'aggiustamento dei conti pubblici imposto, appunto dall'integrazione monetaria. Quell'aggiustamento ha determinato, con i tagli alla spesa pubblica, un ristagno della domanda che, a sua volta, ha indotto un ristagno degli investimenti, generando così un rallentamento della crescita e un aumento della disoccupazione. E non deve stupire, a questo proposito, se l'Italia soffre maggiormente di questi due effetti essendo il Paese nel quale l'aggiustamento dei conti pubblici è stato particolarmente ampio. Con una domanda interna debole e con regole di convivenza nella moneta unica che impediscono ai governi di svolgere una qualsiasi azione compensativa, esaurito inoltre il contributo, per altro modesto, che pur tardivamente ha offerto la politica monetaria attraverso una riduzione dei tassi, l'unica componente che può sostenere la crescita dell'Europa è la domanda estera, ossia le esportazioni. Ed ecco, allóra, l'attenzione che finalmente viene rivolta alla gestione del cambio. Perché, se per le esportazioni sono già tempi difficili - la revisione al ribasso di tutte le previsioni sulla crescita dei sistemi economici hanno comportato anche una revisione al ribasso sull'interscambio mondiale di beni e di servizi -, difficoltà certamente maggiori si presenteranno se ci si mette anche un euro forte a ridurre la già scarsa competitività dell'offerta europea. Con qualche parziale eccezione per la Germania, le esportazioni europee non sono indifferenti al prezzo come quelle degli Stati Uniti. Questi ultimi esportano tecnologia, innovazione, prodotti dei quali, se si ha necessità, si guarda poco al prezzo; dollaro debole o dollaro forte, di conseguenza, le cose cambiano di poco. L'Europa, invece, e l'Italia in particolare, competono sul prezzo con Paesi che, oltre ad avvantaggiarsi di costi strutturalmente minori, ora sono favoriti anche dai cambi, con molte delle loro monete che si sono svalutate e con un euro che tende, per contro, ad apprezzarsi. Il prezzo per una moneta stabile e forte l'Europa lo ha già pagato nella fase della gestazione; continuare a pagarlo anche dopo la nascita rischia di diventare davvero troppo pesante. Alfredo Recanatesi esj

Luoghi citati: Europa, Germania, Italia, Stati Uniti