Il 4 per mille non va? Basta rifare la legge... di Lorenzo Mondo
Il 4 per mille non va? Basta rifare la legge... F PANEALPANE =1 Il 4 per mille non va? Basta rifare la legge... HE modo strano, e tortuoso, di intendere la democrazia, di misurare i! consenso. Sembra certo ormai che il 4 per mille destinato dai contribuenti al finanziamento dei partiti abbia dato una cifra irrisoria: tanto che il ministro Visco stenta a raccapezzarla, a renderla nota. Ben lontana comunque dai 110 miliardi che i partiti si erano attribuiti in anticipo (come eventuale prima tranche?) dimostrando quanto sia approssimativo, aleatorio il loro rapporto con i cittadini. Quale allora l'alzata d'ingegno? Ottenere con un trucco quello che non si è riusciti a guadagnare con la persuasione, fingersi detentori, per infusione pentecostale, di una resipiscentc volontà popolare. I tesorieri dei partiti (con esclusione di Alleanza Nazionale) stanno infatti trafficando intorno a una nuova legge che sostituisca quella del 4 per mille, rivelatasi disastrosa: a ciascuna formazione politica toccherebbero due, tre, quattromila lire per ogni voto ottenuto nella tornata elettorale. Beninteso, a titolo di rimborso spese, per eludere il referendum dei '93 che cancellava il finanziamento pubblico. Così, legge scaccia legge, e ai conti sbagliati prowederà una bella sanatoria. Come dovrebbero comportarsi gli italiani, se volessero restituire colpo su colpo? Sia chiaro, nessuno può negare clie la politica abbia un prezzo e che questo debba essere onestamente pagato. Lo stesso referendum era frutto di un acceso risentimento, nasceva sull'onda di Tangentopoli, di un dispendio famelico che, non pago dell'offa pubblica, attingeva a denaro occulto e spesso losco. Ma si tratta di stabilire, del costo, il quanto e il quale. Le spese di un corretto funzionamento della vita politica non possono cioè essere lasciate all'arbitrio e alle complicità delle segreterie. Si chiede semplicemente che assumano forme accetta¬ bili, all'insegna di una trasparenza che non riguarda soltanto la formulazione di una legge, un dibattito soporifero e scontato in Parlamento. Occorre trasparenza anche nella gestione dei fondi, con bilanci limpidi e rendiconti sull'unghia. Ci pensino non due, ma dieci volte i «saggi» che lavorano sul tema. La politica del raggiro, della furbizia, alla lunga non paga e fa danni al Paese. 11 finanziamento poi, non può essere disgiunto da una riforma elettorale che limiti l'esistenza e gli appetiti di minuscoli raggruppamenti, nati talvolta per aggiudicarsi una quota del bottino. Non è vero che 47 partiti (a tanti ammonterebbero, tenendo conto delle efflorescenze periferiche) sono troppi? Che non hanno diritto indistintamente alla beneficenza pubblica? Il problema è delicato, investe nel profondo il rapporto di fiducia tra eletti e elettori. Non nasce «anche» di qui la disaffezione per la politica, l'agnosticismo e il qualunquismo? A ogni elezione aumenta il partito del non voto. Sarebbe deprecabile che molti italiani fossero indotti a non esprimersi, senza neanche andare al mare o in montagna, ma standosene in casa, avviluppati nel disincanto e nel rancore. Che si astenessero per non essere costretti, per quella via, a finanziare a occhi chiusi quelli stessi che sentirebbero più vicini. Il partito dell'astensionismo privilegiato fra tutti perché almeno non costa. In termini di quattrini: per quanto riguarda la democrazia, è altro discorso. Lorenzo Mondo ido j
Persone citate: Visco
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