Tre leader in Terrasanta sotto una stella maligna di Fiamma Nirenstein

Tre leader in Terrasanta sotto una stella maligna ANALISI Tre leader in Terrasanta sotto una stella maligna IGERUSALEMME L destino combina i suoi appuntamenti più importanti senza chiedere il permesso a nessuno. A volte, quando i convitati sono in vestaglia, o hanno un forte mal di testa, oppure peggio. Questa volta è andata proprio così: in Medio Oriente si incontrano a partire da oggi tre leader - Clinton, Yasser Arafat e Benyamin Netanyahu - che stanno attraversando, ciascuno nel suo mondo, guai seri, anzi serissimi, che potrebbero risultare fatali alla loro stessa sopravvivenza politica. Devono riuscire a scardinare un brutto clima di violenza per mettere in piedi il processo di pace, ma i loro occhi non possono che guardare strabicamente agli appuntamenti fatali che hanno di si susseguono Se per Clinqui la finavventPresideluogo sarebbe sfronte mentre spasmodicamente le loro peripezie interne. Osserviamo prima di tutto i due protagonisti locali, Netanyahu e Arafat. Il primo ministro israeliano ha passato un periodo infernale. Il voto della Camera è quasi arrivato a decretargli le elezioni anticipate. I suoi ministri sono in totale rivolta. Ha fatto arrabbiare proprio tutti. Sembra svanita quell'abilità da giocoliere che da una parte l'ha portato a firmare l'accordo di pace di Wye Plantation, e dall'altra gli ha suggerito infiniti modi per blandire i partiti nazionalisti, che, pure infuriati, sono ancora dentro il governo. A destra, negli ultimi giorni, ha proprio promesso di non sgomberare; a sinistra, invece, ha promesso di sgomberare subito e in fretta: il risultato è stato che con imo sferzante ghigno, la sinistra ha abolito la promessa «rete di sicurezza» parlamentare, mentre la destra gli ha giurato vendetta. Anche la visita di Clinton, che Netanyahu al suo ritorno dagli Usa aveva presentato come una vittoria, Bibi l'ha poi ripudiata in pubblico, quando l'ha immaginata come un trionfo di Arafat. Netanyahu rischia adesso anche di portare a casa una soleime sconfitta rispetto alla Carta palestinese. Infatti Arafat non intende farla votare domani, ma solo sancirne [ cambiamento per acclamazio. Cade così uno dei pilastri che votar I il can I ne. Ci nton fosse ne della ura da ente, il scelto imbolico legittimavano la concessione di terre agli occhi della destra. Se non porta a casa almeno la Carta emendata col voto, Netanyahu fa una figura meschina. E se la visita di Clinton non ripristina un clima migliore, la sua politica interna ne risulta ferita a morte. Anche Arafat, benché la visita del Presidente americano gli conferisca enorme prestigio e riconoscimento di fronte al mondo, a casa sua non se la passa bene. Il fatto che i prigionieri cosiddetti «di sicurezza» non siano tornati liberi dopo Wye Plantation lo ha indebolito enonnemente di fronte alla sua gente. Le manifestazioni infuocate di questi giorni non sono soltanto un segno di totale sfiducia nei confronti di Israele, ma gli slogan gridano accuse di tradimento anche nei confronti del raiss. Le direttive ai dimostranti escono dalle carceri, e le manifestazioni raggiungono persino le case di Abu Mazen, di Abu Allah, i più importanti ministri di Arafat. Intanto Hamas, la Jihad Islamica e con loro i leader estremisti Hawatmeh, Jibril e Habbash, ~ sonò tutti ritP' niti a Damasco per riaffermare quant'è buona la Carta che chiede la cancellazione di Israele, e quanto Arafat invece è un traditore. Dunque, il raiss ha bisogno di un buon successo per uscire dalla violenza e dalla sfiducia di queste ore. Comunque il più ferito è Bill Clinton. Questo Presidente, la cui vita politica è sull'orlo dell'abisso, certo desidera a sua volta portare a casa una rimessa in moto del processo di pace; è tuttavia chiarissimo che il suo eventuale impeachment è una variabile del tutto indipendente. Clinton quindi è venuto perché vuole finire il lavoro, perché gli sta a cuore, perché pensa che il fatto che il capo dell'Occidente parli direttamente al Parlamento palestinese darà una mano a trovare un po' di reciproco rispetto tra il mondo giudaico-cristiano e il mondo musulmano. Clinton compie ima mossa storica comunque, e lo sa. Se dovesse concludere sul campo mediorientale la sua avventura di Presidente, avrebbe scelto ima zona e un tema cruciali. Fiamma Nirenstein ehi | Se per Clinton fosse qui la fine della avventura da Presidente, il luogo scelto sarebbe simbolico

Luoghi citati: Israele, Medio Oriente, Usa