Ancora lontana l'Europa del lavoro

Ancora lontana l'Europa del lavoro Il vero patto arriverà nel '99. Per ora tra gli Undici c'è una linea comune sulle priorità da affrontare Ancora lontana l'Europa del lavoro A Vienna solo piccoli passi. Bonn non molla sui fondi VIENNA DAL NOSTRO INVIATO D'accordo sul lavoro, ma solo su quello. «L'occupazione è la priorità principale dell'Unione europea», scrivono i leader dei Quindici nel documento finale del vertice di Vienna. Ma l'impegno ad allargare il loro campo d'azione dal risanamento finanziario all'occupazione peraltro con formule assai generiche - è l'unico vero risultato del summit. Restano invece più lontane che mai le posizioni sul finanziamento del bilancio comunitario e sulla ripartizione delle risorse, e di conseguenza rischia di slittare anche l'allargamento ad Est dell'Ue. Tutti problemi che dal 1° gennaio prossimo toccherà alla Germania, nuovo presidente di turno dell'Ue, cercare di risolvere. Nel documento approvato ieri il tema centrale è proprio la prospettiva di creare un «Patto europeo per il lavoro». Ma per arrivare a questo obiettivo i Quindici a maggioranza socialista riprendono in larga parte la ricetta approvata l'anno scorso in Lussemburgo, cioè quella di stabilire delle linee guida per l'occupazione che ogni Stato dovrà poi applicare sottoponendo i risultati all'esame dell'Ue, e concordano sul fatto che «questo processo deve-essere rafforzato» attraverso «nuovi obiettivi verificabili e nuove scadenze, sia a livello europeo sia nazionale, indicatori comuni di risultati e di politiche e una base statistica comune». In attesa di arrivare al Patto, che dovrà essere presentato al vertice di Colonia del '99, i leader indicano alcune linee guida che gli Stati membri dovranno adottare il prossimo anno: pari opportunità tra uomini e donne, formazione permanente, spinta sui settori ad alta tecnologia e legati all'ambiente, revisione del sistema sociale per spingere i disoccupati al lavoro, misure destinate al reinserimento dei disoccupati più anziani. Dove troveranno i fondi per finanziare queste politiche? I Quindici riconoscono che «gli investimenti in infrastrutture e il finanziamento di progetti innovativi» servono a «stimolare la crescita, l'occupazione e la competitività», ma senza mettere minimamente in discussione il rigore imposto da Maastricht e dal Patto di stabilità, si limitano a suggerire - anche in questo caso - il ricorso a strumenti tradizionali, come quelli delle 14 reti transeuropee. L'unica novità è quella che il premier italiano Massimo D'Alema vive come un suo successo: «Per la prima volta si dà mandato alla Banca europea per gli investimenti di cercare nuove forme di finanziamento sui mercati; finora richieste di questo genere si erano arenate sul veto tedesco». Il relativo successo di Vienna, comunque, ha molti padri. «Blair ed io abbiamo presentato una proposta che il Consiglio ha accolto in pieno», proclama il primo ministro spagnolo José Maria Aznar, fautore di un modello liberista. E dal fronte opposto, quello di chi chiede più interventi invece che deregulation, la musica è la stessa quando il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder spiega che «l'Europa ha fatto suo il modello tedesco». Se sulle politiche del lavoro l'armonizzazione fa passi avanti, il movimento all'unisono dei Quindici rallenta di fronte al tabù del fisco. Il documento finale parla di «cooperazione nell'area fiscale, che non mira ad aliquote comuni e non è incompatibile con una sana concorrenza fiscale», ma punta piuttosto a combattere la concorrenza fiscale dannosa, appoggiando l'azione del Commissario europeo Mario Monti. Certo, come fa notare sempre D'Alema, nella versione provvisoria del documento si diceva che la cooperazione «non è armonizzazione» e i toni sono stati quindi in parte addolciti. Ma la sostanza è che per ora si va avanti solo con le proposte presentate da Monti, senza nuove iniziative, e un primo bilancio verrà fatto solo ad Helsinki, nel dicembre del '99. Capitolo assai più spinoso resta è quello dell'Agenda 2000 (cioè il bilancio comunitario per il periodo 2000-2006) e il problema collegato del finanziamento dell'Unione europea. A Vienna nessuno si è scollato dalla sua posizione: i tedeschi continuano a chiedere il ribasso del 30% del loro contributo e legano il problema all'allargamento dell'Ile; i britannici non vogliono negoziare lo sconto ottenuto nell'82, gli spagnoli non sono disposti a vedere ridotti i fondi comunitari... Così, anche il placido Jacques Santer, presidente della Commissione trova parole inconsuete per il suo vocabolario: «Le conclusioni del Consiglio europeo sull'Agenda 2000 sono modeste». E in effetti tutto quello che i Quindici sono riusciti a raggiungere è l'impegno ad affrontare la questione il 24 e 25 marzo in un nuovo vertice straordinario che si terrà a Bruxelles. Ma già prima di quella data e sul medesimo argomento, un altro vertice potrebbe tenersi in febbraio. E non è nemmeno detto, come sottolinea il presidente francese Jacques Chirac, che per marzo si chiuda davvero: «Basteranno i prossimi tre mesi?». Se l'Agenda 2000 non esce dal guado dove l'hanno cacciata le pretese nazionali, nemmeno l'allargamento partirà. Francesco Manacorda Nessuna intesa suU'«Agenda 2000» e sulla ripartizione delle risorse. Rischia di slittare l'allargamento ai Paesi dell'Est ** *'** Foto ricordo del vertice di Vienna. In prima fila da sinistra il premier portoghese Guterres, l'estone Siimann, l'inglese Blair, e il bulgaro Kostow. In seconda fila il primo ministro lussemburghese Juncker, Massimo D'Alema, il greco Simitis e il ministro degli Esteri svedese Anna Lindh