Rossanda: «Caro Marx, ti sei sbagliato» di Antonella RampinoRossana Rossanda

Rossanda: «Caro Marx, ti sei sbagliato» Nel convegno sui 150 anni del «Manifesto del partito comunista» la sinistra fa autocritica Rossanda: «Caro Marx, ti sei sbagliato» Il «manifesto»: vincono la borghesia e la globalizzazione IL FILOSOFO NEL MIRINO MROMA ENTRE fu, già qualche anno fa, il Wall Street Journal a rivalutare il pensiero economico di Karl Marx, che resta pur sempre il grande divulgatore del termine che forse più di ogni altro è figlio di questa fine di secolo, ovvero «globalizzazione», è oggi Rossana Rossanda, di certo con la competenza del caso, a bacchettare il grande. Sul manifesto, inteso come quotidiano comunista, rispondendo a un lettore che, nel centocinquantenario del «Manifesto del partito comunista», osserva che gli sembra «una potente ma scheletrica semplificazione che non ha retto il confronto con la complessità del processo storico», Rossanda chiama Marx «il Moro, perché questo era il suo soprannome tra gli amici», senza far cenno della leggenda per cui l'autore del Capitale amava ricoprire il ruolo di Jago, quando in famiglia si metteva in scena l'«Otello». Ma appunto proprio la consuetudine al limite della familiarità che Rossanda nutre per il grande di Treviri, fa sì che dei molti interventi della prima giornata del convegno celebrativo, organizzato con l'aiuto del Comune di Roma, il suo sia l'unico che in qualche modo è a commento del testo passato, mentre tutti gli altri, si vede, si sente, colgono la scusa della globalizzazione ai tempi di Marx per trattare di quella di oggi. E così, del testo in cui si dice che la borghesia «rassomiglia al mago che ha evocato potenze sotterranee e non può dominarle», perché «nel fabbricare le armi della sua distruzione ha fatto sorgere gli uomini che le porteranno, e cioè i moderni proletari», ed è evidente a tutti che non è andata proprio così, Rossanda dice che la colpa è un po' anche della po¬ litica, «il salto nel cielo del primo Stato operaio non riproduce l'ipotesi marxiana, perché c'è lo Stato-nazione, e c'è la borghesia che invece non ha nazione». Il che, in soldoni significa che la borghesia si è mondializzata, e il proletariato no. E poi, soprattutto, «il capitale aliena attraverso forme che sono politiche»: e difatti, insiste Rossanda, anche qui «lì Manifesto» s'è sbagliato. Perchè non solo prevedeva che la lotta di classe avrebbe sconvolto il mondo, ma anche che in quelle lotte il proletariato, sia pure perdente, avrebbe trovato forza e coscienza. E così non è stato. Lo dice chiaro e tondo, nel suo intervento, Dino Greco della Camera del Lavoro di Brescia: in quella zona, anno domini 1998, c'è ancora una roccaforte operaia, tanto inespugnabile che nell'ultimo contratto firmato per quegli operai l'aumento salariale è pari all'aumento del pro¬ dotto nazionale lordo. Eppure, in quella zona la sinistra non supera il 16 %. «Perché da noi per gli operai il padrone non è solo una controparte: è un modello da imitare», dice Greco. «Ormai il proletariato è la classe media, i lavoratori dipendenti» fa eco Giorgio Cremaschi, segretario generale Fiom. Cremaschi dice che il fordismo è stato costruito sulla sconfitta della classe operaia di cui parlava Marx, e che il post-fordismo di oggi «è una débàcle)), perché il capitale ha vinto su tutti i fronti, ha sconfitto il socialismo reale, ha battuto il Terzo Mondo con la guerra dei prezzi delle materie prime... Quanto alla globalizzazione, beh, è la vera idra. Non solo perché si tratta di un pensiero unico, Usa based. Soprattutto perché oltre al competitive global market, c'è la global culture. Le chiama proprio così, l'economista Riccardo Petrella: «Kissinger l'ha detto, ci vuole "omogeneità", si può mangiare o vestire diverso, ma non avere diverse culture». Soprattutto, è pericolosa la mondializzazione della proprietà intellettuale. Che apre scenari nuovissimi. Tutto viene brevettato, anche il genoma umano, dice Petrella. E con il «Terminator i contadini non potranno più prelevare i semi dalle proprie piante. Dovranno, invece, ricomprarli sul mercato, perché le semenze manipolate sono a scadenza limitata. Che fare? «Continuare a lottare, ma fuori dalle nostre cittadelle», dice Cremaschi. «Infatti, le lotte locali non mi hanno mai convinto», aggiunge Rossanda. Insomma, Marx come futurologo non era un granché. Ma la chiosa del «Manifesto» resta. «Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!». Antonella Rampino Un sindacalista «Il padrone non è solo controparte ma modello da imitare» Rossana Rossanda

Luoghi citati: Brescia, Comune Di Roma, Treviri