Nestlè, 20 anni di contestazioni

Nestlè, 20 anni di contestazioni Nestlè, 20 anni di contestazioni Dal latte in polvere ai prodotti transgenici MILANO. Hanno una cosa in comune l'Unicef e l'Oms, il Sinodo dei vescovi anglicani e Mani Tese, gli Aspiranti medici missionari italiani e i sindacati britànnici, l'Animai Liberation Front e il Congresso degli Stati Uniti nel '78, il Baby Milk Action di Cambridge e la Rete Italiana Boicottaggio. Almeno una volta hanno messo sotto processo (è successo in Pakistan), invitato, criticato, accusato, giudicato l'operato della multinazionale svizzera Nestlè, il più importante marchio alimentare al mondo. Alcune organizzazioni, anche con metodi violenti che hanno spaccato il movimento ambientalista, se la sono presa per l'apertura alla manipolazione transgenica della Nestlè. E' il caso dei quattro camion della multinazionale andati a fuoco il 10 maggio di quest'anno a Firenze. 0 dei due panettoni Motta e Alemagna, siringati due giorni fa con un topicida, azione rivendicata dall'Animal Liberation Front. Contro le manipolazioni transgeniche, cioè l'intervento sui geni ad esempio della sqja, per modificarne la resa durante la coltivazione o lo stoccaggio, sono sorti recentemente diversi comitati pacifici nel mondo. In Italia ne è testimonial il premio Nobel, Dario Fo. E pure Beppe Grillo, nei suoi spettacoli, ha attaccato i prodotti transgenici, contro cui i consumatori non sarebbero protetti da un'adeguata legislazione europea. Altre associazioni ambientaliste, con metodi non violenti, da più tempo hanno nel mirino il latte in polvere che finisce nei Paesi in via di sviluppo, spesso sottoforma di aiuti umanitari. «Ogni giorno per l'utilizzo di quel latte muoiono quattromila bambini, in un mese ci sono le stesse vittime provocate dalla bomba atomica su Hiroshima», ha dichiarato James Grant, ex direttore esecutivo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. La Nestlè è accusata per la sua politica di marketing. Il latte in polvere viene venduto ad alto costo, ceduto gratuitamente agli ospedali del Terzo Mondo, senza illustrare i rischi di un utilizzo improprio. Quali l'impiego di acqua non potabile, la mancata sterilizzazione delle tettarelle. 0 l'impiego troppo diluito del prodotto per gli alti costi, da parte di madri che già in ospedale vengono invitate a rinunciare all'allattamento naturale, grazie a una prima confezione omaggio. Con il rischio di denutrizione dei piccoli. Già nel '78, al congresso degli Stati Uniti il senatore Edward Kennedy sollevò il problema provocando una messa sotto accusa dei vertici della multinazionale. Che si difesero negando ogni responsabilità, confermando però di non essere in grado di fornire prove a loro sostegno. Quattro anni prima l'organizzazione britannica «War on Want» aveva accertato che in Nigeria il 30% del salario medio di un operaio finiva in alimentazione artificiale per neonati, il 45% quando i bambini compivano i sei mesi. Solo negli Anni 80 Oms e Unicef formularono un protocollo d'intesa per la normativa sull'alimentazione artificiale, da far approvare nei Paesi in via di sviluppo: fu accettato da gran parte delle multinazionali alimentari, Nestlè compresa. Ma quell'accordo è stato in gran parte disatteso. «La sola Nestlè è responsabile del 25 per cento delle violazioni nei Paesi in via di sviluppo», dicono all'International Baby Food Action Network. «Il Terzo Mondo è una pattumiera. La Nestlè spaccia per aiuti la sua scorretta politica di marketing», va giù duro Dijbrill Diallo, ex consigliere speciale dell'Unicef. «Negli Ami 90 sono nati i comitati per il boicottaggio della Nestlè. Più di cento in Italia, migliaia nel mondo», dice Elisa Giovannetti, che è stata la prima a guidare il boicottaggio nel nostro Paese. «Siamo non violenti, non accettiamo chi si muove su altri terreni. Temiamo di essere confusi», prende le distanze dagli ecoterroristi. E dati alla mano confuta la tesi della Nestlè, secondo cui il boicottaggio non avrebbe effetti. In Gran Bretagna, dove al boicottaggio per un certo periodo aderì pure il Sinodo anglicano, nel '91 i consumi del Nescafè calarono del tre per cento. In Italia venne boicottato il Nesquik, indicato come alimento simbolo rivolto all'infanzia. Ma è in campo internazionale che arrivano gli attacchi più violenti alla Nestlè. L'International Baby Food Action Network ha accertato anche casi di pubblicità non corretta. Per esempio, sotto l'etichetta Follow-on-milk la Nestlè ha commercializzato nel Terzo Mondo latte in polvere consigliato per bambini di quattro mesi, quando secondo l'Oms non era necessario fino ai sette mesi. Le autorità dello Sri Lanka hanno bloccato alla dogana partite di latte in polvere radioattivo marchiate Nestlè. Sentendosi rispondere, da un funzionario della multinazionale svizzera: «Non è latte radioattivo, sono i vostri parametri che sono troppo bassi». Fabio Potetti Yves Barbeux, presidente e amministratore delegato di Nestlè Italia al suo arrivo alla conferenza stampa per commentare la vicenda dei panettoni avvelenati con topicida dagli ecoterroristi