«Non parlerà più nessuno» di Giovanni Bianconi

«Non parlerà più nessuno» «Non parlerà più nessuno» Maddalena: prìncipi troppo rigidi sui pentiti DEI MAGISTRATE ROMA AVANTI alla Corte Costituzionale andò proprio Ini, con la sua toga di pubblico ministero, a parlare perché venisse bocciato quell'articolo 513 tanto osteggiato dai magistrati dell'accusa. La Consulta - anche se formalmente il suo intervento fu giudicato inammissibile - gli diede ragione almeno in parte, e oggi Marcello Maddalena, procuratore aggiunto di Torino, commenta così la contromossa del Parlamento: «Sul piano della legittimità di questa proposta non c'è niente da dire, il Parlamento è sovrano e le sue decisioni vanno rispettate. Però credo che la soluzione prospettata, paradossalmente, spingerà al silenzio gli imputati-testimoni riducendo così, anziché aumentarla, la possibilità del contraddittorio davanti al giudice». Toni pacati, molto tecnici, ma abbastanza chiari se solo si scende un po' più nel dettaglio. «Per quello che è la mia piccola esperienza - spiega Maddalena - dopo la sentenza della Corte Costituzionale gli imputati o indagati di reato connesso richiamati a deporre decidevano in prevalenza di parlare anziché tacere; questo significa che al di là delle teorie, la decisione della Consulta aveva di fatto incentivato il contraddittorio tanto invocato dalle difese e dai politici. Inserire nella Costituzione princìpi così rigidi come quelli contenuti nella proposta presentata al Senato, invece, potrebbe secondo me spingere nuovamente al silenzio, riducendo il contraddittorio e rendendo nuovamente inutilizzabile una parte del materiale probatorio legittimamente raccolto durante le indagini». Maddalena, come altri giuristi o costituzionalisti, ritiene che inserire nella Costituzione le regole del procedimento penale sia un rischio che forse gli stessi politici non hanno soppesato abbastanza: «Se questa norma dovesse passare, significherebbe che per cambiare alcune norme del processo bisognerebbe poi fare un'altra riforma costituzionale, cosa non facile da realizzare. Insomma, il Parlamento vincolerebbe se stesso per molto tempo, probabilmente decenni, a scelte dettate magari da esigenze contingenti. Se l'obiettivo è questo va bene, il legislatore è libero di legarsi le mani; mi limito solo a consigliare di valutare bene gli effetti, prima e non dopo». Un altro magistrato, il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, non nasconde che avrebbe preferito una soluzione diversa, che nella famigerata sentenza sul 513 la stessa Corte costituzionale aveva adombrato: «Estendere l'area dei testimoni per ridurre quella degli imputati di reato connesso». La differenza è sostanziale, perché il testimone non può rifiutarsi di rispondere davanti al giudice, e ha l'obbligo di dire la verità, mentre l'imputato o indagato in un procedimento collegato ha il diritto di tacere, e se mente non può essere perseguito. «E' assurdo - spiega Vigna - che una persona a suo tempo indagata, che magari ha avuto un'archiviazione, continui ad essere considerata imputato di reato connesso con la facoltà di non rispondere o di non dire il vero. Questo è un tipico caso in cui dovrebbe essere testimone». Poteva scegliere questa strada, il Parlamento, attraverso ima legge ordinaria. Invece ha deciso di avviare una riforma costituzionale che lascia perplesso pure il segretario del¬ l'Associazione nazionale magistrati Paolo Giordano, procuratore aggiunto a Caltanissetta. «Dal punto di vista dei princìpi - dice - la riforma in elaborazione al Senato è condivisibile, perché tutto ciò che va nella direzione di estendere le garanzie del contraddittorio è apprezzabile. Tuttavia una modifica così approfondita della Costituzione rischia di rendere eccessivamente rigida la disciplina, creando nuove difficoltà e procedure più complesse per eventuali riforme. Inoltre bisognerebbe modificae anche il sistema processuale nel suo complesso». Nel palazzo della Consulta vige come sempre la regola del silenzio, e dunque non ci sono commenti ufficiali alla contro-mossa del Senato sul 513. Ma nelle stanze e nei corridoi della Corte si sottolinea come sia un fatto senza precedenti che il Parlamento, a poche settimane di distanza da una sentenza costituzionale, decida avviare una riforma per eliminare gli effetti di quel verdetto. Lo schiaffo brucia, si mettono in evidenza interrogativi rimasti aperti - che ne sarà, ad esempio, dei decreti penali di condanna pronunciati dai pretori? - e possibili effetti a catena di incostituzionalità su molte norme vigenti. Anche se un ex presidente della Consulta come Vincenzo Caianiello considera «una formula abbastanza equilibrata» quella in discussione al Senato, la maggioranza degli attuali giudici costituzionali è quantomeno scettica, e confida che il tempo porti consiglio o faccia svanire alcune velleità dei politici. E' una speranza a cui dà voce l'ex presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati Elena Paciotti quando invita alla calma e dice: «Per ora siamo di fronte solo a una proposta di commissione, c'è tutto il tempo per riflettere...». Giovanni Bianconi Vigna: era meglio estendere l'area dei testimoni che sono obbligati a rispondere Caianiello: una formula abbastanza equilibrata

Persone citate: Caianiello, Elena Paciotti, Marcello Maddalena, Paolo Giordano, Piero Luigi Vigna, Vigna, Vincenzo Caianiello

Luoghi citati: Caltanissetta, Roma, Torino