D'Alema esporta la concertazione
D'Alema esporta la concertazione D'Alema esporta la concertazione E Blair ammonisce: solo traguardi possibili L#UNIONE DELLE PAROLE Lt) 18 OMO/J VIENNA IONEL Jospin, il francese, è il più estremista, vorrebbe che fossero fissati dei parametri sull'occupazione da affiancare ai criteri di Maastricht sulla finanza pubblica. «Stiamo attenti - fa presente invece l'inglese Tony Blair, il più prudente - a non porci dei traguardi che rischiamo di non centrare». José Maria Aznar, l'ultimo conservatore che guida un grande Paese europeo, predica invece una maggiore flessibilità sul mercato del lavoro. E D'Alema, l'italiano? Al solito non sta né con l'asse franco-tedesco, né con quello anglo-spagnolo. E', per usare una sua espressione, «l'anello di congiunzione». Così nel vertice europeo di Vienna, quello che, almeno a stare appresso a quel fiume di parole che accompagna sempre questi appuntamenti, ha trasformato la politica dell'occupazione da un tema nazionale ad un tema europeo, l'Italia si ritrova in mezzo. Una centralità che D'Alema, da buon politico, esalta, ma che può trasformarsi anche nella debolezza di chi per occupare il baricentro tra le diverse posizioni che albergano nell'Unione rinuncia ad avere una propria personalità. Per cui, se nel vertice informale di Poertschach il nostro premier aveva criticato le «interpretazioni fondamentaliste del patto di stabilità» chiedendo un maggiore impegno per lo sviluppo, ieri a Vienna si è corretto: «Nel sistema Euro il patto di stabilità non va ridiscusso». Alla fine il contributo peculiare del nostro Paese è quello di suggerire all'Europa di adottare la concertazione. D'Alema e Ciampi lo fanno perché credono a questo modello, ma anche perché in Italia, proprio in questi giorni, stanno tentando di ricontrattarlo. E' un contributo che rimarrà agli atti. In un'Europa fatta soprattutto di parole, meglio non impiccarsi ad esse. Ce lo hanno insegnato i tedeschi: mentre qui si parla del terzo pilastro, cioè di uno spazio giuridico europeo che non abbia frontiere, Schròder ha spiegato al nostro premier che anche un mandato di estradizione, quello per Ocalan, si può fare per scherzo. Qui a Romcfoe Ma Vienna - come ha osservato Lamberto Dini - si parla del curdo solo per soddisfare la curiosità «dei partners europei che si sono occupati meno della vicenda». Passa il tempo e la patata bollente rimane là, non in Europa ma a Roma. E gli inglesi che spesso in politica estera hanno dei modi bruschi non hanno nemmeno problemi a dirlo. «Penso - ha dichiarato ieri Alastair Campbell, portavoce di Tony Blair - che sia una questione delle autorità italiane». E ieri a D'Alema non è rimasto che offrire una risposta scoraggiante a chi gli chiedeva come pensa di risolvere questo complicato caso. «E' una bella domanda questa...... Eh già, il nostro premier aveva puntato sull'esistenza di un'Europa politica che è ancora tutta da fare. Certo con l'Euro si sono fatti passi da gigante-, con gli accordi di Schengen pure, ma rimane ancora molta strada. E, a quanto pare, si percorrerà lentamente. Si litiga ancora sull'agenda Duemila, cioè sui contributi al bilancio comunitario e la loro ripartizione dal 2000 al 2006. L'armonizzazione fiscale tra i Paesi europei è rimasto ancora un punto all'ordine del giorno. Non parliamo poi dei temi cari a Blair, quelli sulla politica estera e della sicurezza comune: rimangono un bel tema su cui dissertare. Non per nulla ieri Lamberto Dini ha già avvertito la platea dei cronisti italiani: «Per domani (oggi, ndr) non si annunciano grandi decisioni». Insomma, bisogna acconten¬ tarsi «perché - come si premunisce di dire il segretario generale della Farnesina, Umberto Vattani - questo è un vertice di passaggio, le decisioni saranno prese dal prossimo vertice, quello che vedrà in campo la presidenza tedesca». Più o meno è quello che si è detto nel vertice scorso e, probabilmente, si dirà nel prossimo. Questo non significa che il processo d'integrazione non vada avanti. Anzi. Ma forse è azzardato pensare fin d'ora di poter risolvere in Europa i problemi di casa propria. Il governo italiano lo ha scoperto sul «caso» Ocalan e rischia di illudersi anche sull'occupazione. Ma D'Alema ancora ci spera: «E' ora di riprendere le discussioni sul finanziamento delle grandi reti Transeuropee, sulla promozione della ricerca e sui temi della formazione. Occorre lanciare un programma di investimenti coordinati a livello europeo». Un programma, ovviamente, che per il governo italiano dovrebbe essere finanziato dalla Banca europea per gli investimenti: forse non si farà mai, ma intanto uno ci prova. Sono speranze. Appunto. Ancora a livello di parole. E dato che da queste parti se ne sprecano tante, perché D'Alema e i suoi ministri debbono essere avari? L'importante è crederci, ma aspettandosi anche qualche delusione. Tutti i vertici europei, infatti, sono sogni che tardano ad avverarsi. Prima o poi diventeranno realtà, intanto bisogna attrezzarsi per ascoltare discorsi, tesi e proposte che nascono e muoiono nel giro di due riunioni. Ieri mentre i grandi d'Europa si preparavano alla seduta del pomeriggio D'Alema parlando con Dini dell'andamento dei lavori, gli ha confidato: «Mi ricorda una delle esperienze più sconcertanti della mia esistenza: il funerale di Papandreu. Urta lunghissima cerimonia religiosa, quella grecoortodossa, con una temperatura di 43 gradi. Poi, dopo il rito religioso, quello civile in cui i familiari e i rappresentanti di tutte le forze politiche hanno preso la parola. Tutti a parlare con il morto. Il primo a parlare è stato il fratello con cui aveva rotto. Ha detto rivolto alla bara: "Tu non mi amavi, mentre io ti amavo"». Come l'Italia con l'Europa. Auguste Minzolini Roma propone il tema degli investimenti coordinati: ricerca formazione, grandi reti transeuropee Poi tutti parlano del «caso Ocalan» Jacques Chirac, Tony Blair e Massimo D'Alema ieri a Vienna
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