Un presepe chiamato Napoli Folla e voglia eli rinascere

Un presepe chiamato Napoli Folla e voglia eli rinascere Nei vicoli si specchiano le voci della speranza, l'assalto di turisti, il dramma dei cassintegrati Un presepe chiamato Napoli Folla e voglia eli rinascere NAPOLI £ \ UANDO lascio Na8 m poli imboccando ■ ■ l'autostrada per il M Nord, provo un ma■ gone: ancora una ■ 0 volta questo posto, ■ ■ che è anche una % m città, ti artiglia nelle viscere, ti entusiasma, ti fa piangere e ti fa ridere, conferma la sua straordinaria stranezza dell'essere una delle forme superiori e impreviste assunte dal genere umano. Non c'è letteratura, reportage, film o commedia che possa valere quanto lo strappo che ti prende al cuore, che ti appassiona e ti indigna, che ti travolge senza possibilità di neutralità e che è Napoli. L'ultima immagine prima di partire: una schifezza di Babbonatale travestito di un rosso di seconda scelta, pagato dal Comune davanti a Palazzo Reale dove stazionavano al sole centinaia di famiglie con i bambini. E la penultima immagine: i vicoli di San Gregorio Armeno dove furoreggiava il Natale vero, quello dei presepi incantati e lavorati per mesi, i meccanismi straordinari della tradizione settecentesca. Dove, se non a Napoli, nell'era dei giochi elettronici, delle battaglie virtuali, dei programmi scaricati da Internet, puoi trovare una folla che si incanta davanti a un meccanismo semovente di piccoli robot semplicissimi e allo stesso tempo complicati. La folla dei fantocci è uno specchio della folla napoletana, i pastori hanno facce sofferte, scavate, eduardiane, mani sporche, e le donne sono sfiancate dalla fatica e dalla prole, i pupazzi del presepe napoletano non rappresentano la bellezza, ma il dolore quotidiano. Napoli fa il presepe per rendere omaggio a se stessa anche se accoglie, come la copertina di «Time» i personaggi dell'anno, ieri Di Pietro, oggi i papazzari della famiglia Ferrigno propongono gli ovvi Bill e Monica. Ma anche una madonna-donna che, sdraiata nel fieno e con la gonna alzata, partorisce nel dolore. Tutto ciò spiega la desolata solitudine, il fallimento di pura rappresentanza di quel mercenario falso e nordico Babbonatale stipendiato probabilmente con i lavori socialmente utili, la barba storta e posticcia, la faccia da creatura del vicolo e che fuma oltraggiosamente una sigaretta dopo l'altra. Ha l'aria di dire: Sì, va buò, tenimmo pure o Babbonatale, ma siamo diversi. Schiaccia con protervia la cicca sul selciato e lascia che alcuni bambini vadano a lui. In Galleria il poeta pariginonapoletano Carlo Miele, persona quasi fiabesca, organizza con operosa innocenza l'Assemblée Planétaire de la Poesie che si svolgerà qui a Napoli il 25 gennaio. Un grande albero di Natale accoglie lettere strappacuore e di bambini e disoccupati e gli stessi disoccupati hanno un loro banchetto per ricevere doni, rigorosamente soltanto piccoli doni, panettoni e tombole, per i bambini, il denaro è vietato. Sì, è vero, confermo: non venivo da un po' e la Napoli di Bassolino ha fatto davvero passi avanti e a Natale si vede. Non è questione di sola facciata: si vede in giro la gente che prima non c'era e i turisti affollano gli alberghi anche se il tassista dimentica troppo spesso il tassametro spento e tende ad applicarti fantasiosi sovrapprezzi (ottomila lire di «supplemento panorama» per essermi fatto portare 'n goppa a Pusillipo a guardare la città che splendeva sotto la luna). E benché sia sempre incrostata in maniera indelebile una sottile secolare sporcizia sulla maggior parte dei marciapiedi. Non ho visto nemmeno i motoscafi del contrabbando e anche la flotta delle macchine abusive sembra dileguata, come i motorini discretamente ridotti per ridurre di conseguenza gli scippi. Insomma, Napoli seguita ad essere viva, vitale e straordinaria in questo dicembre prenatalizio e gelido come a Stoccolma. Il benessere riesce persino a produrre modesti guasti, come quello rappresentato dalla pericolosa ambizione di alcuni ristoratori presuntuosi che tenta- no la mediocre strada della cucina internazionale. Per fortuna ci si può sempre riconsolare nella bolgia di Ciro a Mergellina e degli altri ristoranti della tradizione, dove tutto è provvidenziale caos, fritti e inganni eroici e miserabili per conquistare un tavolo. Da Santa Lucia sono salito fino alla chiesa del Gesù, barocca spagnolesca di una opulenza dorata quasi comica, per imboccare da Santa Chiara la strada che conduce a San Gregorio Armeno in un museo vivente e cangiante di folla e di merci, famiglie e oggetti, variopinti stravaganti individui di incerta identità e pastori di terracotta, bancarelle che vendono attrezzatura contro il malocchio e desolate botteghe di mercanti in oro e gioie sepolti fra velluti rossi e lisi. Si va avanti fendendo la folla davanti al pizzaiuolo che ha fatto fortuna grazie a Clinton (detto Bilclindòn) all'epoca del G7. E corni di corallo, bambinelli di tutte le taglie, angioli dal sesso incerto e pericolosamente prossimi alla Barbie, inferni di dannati scolpiti, uomini e donne, con cappello, sigaro, o con mammelle prosperose, la parte inferiore del corpo in un rogo di fiamme rubizze che si sprigionano alimentate da diavoli e satanassi operosi come agenti della buoncostume. Si celebra il Natale sì, ma sempre con occhio alla morte, all'inferno, alla passione e crocefissione, che è come l'altra faccia della medaglia dei Re Magi. Il motto del Natale napoletano sem' bra più òhe mai carpe diem, affrettati a godere perché oggi ci siamo e domani non è detto. Anche la folla che non è uguale alle altre folle perché il diaframma tra domanda e offerta sul ciglio delle botteghe, dei laboratori, dei grappoli di mercanzia, è un diaframma speciale per suoni e colori e sospiri, lagne di bambini, rassicurazioni di adulti, odore di sfogliatelle ricce e accessori fantastici per presepi inondati da sorgenti liquide e torrenti limacciosi, con facce di pastori che sono facce da disperati, donne che lavano nell'artrosi, fabbri che battono piegati alla luce della lanterna in un paesaggio di antri verticali e profondi come sono le caverne del ventre di Napoli. La natività, sì, ma fra animali che convivono con gli uomini dividendo spazio e improvvisazione, e bufali dalle grandi corna come quelli che il re di Napoli portò in dono dall'India e che ebbero come conseguenza la mozzarella di bufala la cui forma e chiarore lunare splende arrotondata nelle vetrine, setosa e compatta come quella di Eduardo e Peppino che alla voce Raccomandazioni per la vera mozzarella da comperare dopo aver impegnato il paltò diceva: se non geme il lat- tice, tu desisti. Si naviga (altro che Internet) in quella rete di vicoli e di decumani che fendono l'abitato per far scorrere la vita di Napoli, cercatori e trovatori, di gente che offre e che prende o che semplicemente si sazia di un rapporto pagano con divinità spudoratamente pagane, con le sue cripte mortuarie e il teschio di bronzo su una colonnina che la gente chiama devotamente cap'e muorto per quella confidenza che lega i napoletani a morte e fortuna. Ma prospera anche la Napoli dell'illumini- smo, la Napoli della rivoluzione del 1799 e della sua piccola ed eroica borghesia, una traccia fatta di piccole bellissime eleganti librerie antiquarie, o di materiale napoletano e meridionale, oppure filosofico e musicale, o tedesche fino alla piccola Montmartre di piazza Bellini con i suoi caffè per poeti, i suoi bistrò, i rampicanti, la minuscola editrice «extramoenia» che pubblica soltanto versi, in un vortice di pasticcerie, vicoli, bassi che espongono presepi e talamo nuziale, motorini acrobatici. Certo, uno si chiede se e quanto possa incidere sull'umore cittadino la vicenda di Sua Eminenza accusata d'usura, ma a prescindere dal prevalere del partito innocentista, prevale una degnazione altèra che filosofeggia sulle bassezze del mondo. Questo penultimo Natale del secolo incontra una Napoli che tenta di rinascere dalle sue piaghe, senza averne ancora dimenticata nessuna. E a quel che si vede resiste e si irrobustisce la nazione napoletana che non ha bisogno di riti e travestimenti per riconoscere se stessa: questa nazione è immersa nella sua densa cultura e vive su un presepe antichissimo e pericolante, lo stesso riprodotto nei presepi in vendita e in cui la maternità è pena e doglie tra gente del vicolo. Il Babbonatale venuto dal Nord ha qui un'aria consapevole da cassintegrato. Paolo Guzzanti Odore di sfogliatelle e bellissime librerie antiquarie, vicoli pieni di mercanzie Un grande albero raccoglie lettere di bambini e di senza lavoro Nella foto grande un'immagine del presepe di San Gregorio Armeno. A fianco piazza del Plebiscito, cuore della città. In basso la Napoli che cresce

Persone citate: Bassolino, Carlo Miele, Clinton, Di Pietro, Ferrigno, Paolo Guzzanti