«L'Europa unita dalle tasse»

«L'Europa unita dalle tasse» «L'Europa unita dalle tasse» Bonn per il coordinamento, Londra no dopo la Moneta unica ALLA rivolta del tè del 18° secolo nel porto di Boston, Londra non si sentiva tanto minacciata da un'iniziativa straniera in materia di tasse. Da ciò a dipingere il ministro delle Finanze tedesco come «un incrocio tra Guglielmo II e il Barone rosso», il passo era breve. Alla vigilia del Consiglio europeo di Vienna, la volontà tedesca di coordinamento fiscale tra i 15 Paesi dell'Unione europea ha spinto Tony Blair a cercare l'intesa con Gerhard Schroeder. Una lettera comune contro i progetti di armonizzazione è stata prima firmata, poi smentita e infine riciclata, ormai priva di valore. Non sarà l'ultima delusione per Blair. Bonn ha intenzioni serie sul coordinamento fiscale e, se non riuscirà con i mezzi ordinari a convincere i partner, potrebbe dare una severa svolta al gioco europeo, facendo leva su un'intesa con Italia e Francia. A poche ore dal Consiglio dei capi di Stato e di governo dell'Ue, Schroeder e il ministro delle Finanze, Oskar Lafontaine, hanno cambiato oggetto delle proprie attenzioni. Non più grandi piani di investimenti comuni europei per creare lavoro, né fughe in avanti nell'armonizzazione degli standard sociali, bensì progressi sulla strada di un sistema fiscale che sposti il prelievo dal lavoro dipendente ai redditi da capitale e al consumo di energia. «La politica occupazionale - spiega Lafontaine - passa da un coordinamento che riduca le tasse sul lavoro in Europa». «E' questa la base di discussione - conferma il commissario Ue, Monika Wulf-Mathies - non piani comuni di investimenti». La difficile trattativa sulla riforma del bilancio Ue, d'altronde, fa temere a Bonn che i costi di investimenti comuni peserebbero ancora sulle casse tedesche. «In Europa - dice Lafontaine l'armonizzazione fiscale è già in at- to: le tasse sul lavoro crescono ovunque e quelle sul capitale calano ovunque, bisogna andare nella direzione opposta». In Germania negli ultimi 15 anni, la quota di entrate fiscali da tassazione del capitale è calata di due terzi mentre saliva di altrettanto quella sul lavoro dipendente. «E' dovere di un governo socialdemocratico - spiega Lafontaine - invertire la rotta». Per farlo Bonn punta sul semestre di presidenza Ue che comincia il 1° gennaio. Gli obiettivi sono di coordinare aumenti di tasse sul consumo di energia, i cui proventi permetterebbero di ridurre gli oneri salariali, rendendo più conveniente assumere. L'introduzione coordinata a livello Ue di una tassa sui redditi da capitali dovrebbe inoltre limitare la fuga dei marchi verso Paesi in cui i capitali sono esenti. Qualsiasi coordinamento fiscale nell'Ue richiede però l'accordo unanime dei 15 Paesi. L'Inghilterra, in prima fila, si oppone. Grazie alla minore fiscalità e al minor costo del lavoro, Londra ha attirato negli Anni 90 dieci volte più investimenti esteri della Germania. Per aggirare il veto di Blair, Lafontaine e Schroeder hanno minacciato ima modifica dei Trattati con cui introdurre il principio della decisione a maggioranza, ma le trattative necessarie richiederebbero troppi anni. Fonti di Bonn indicano però un'altra strategia: Schroeder punterebbe a un accordo con gli 11 Paesi dell'euro, per fissare bande di aliquote ampie entro cui coordinare le tasse sulle imprese e per combattere le pratiche fiscali che l'Ue, grazie al lavoro del Commissario per il Mercato unico, Mario Monti, ha individuato come pratiche di concorrenza fiscale sleale. Puntando sull'intesa con Parigi e Roma, Bonn da un lato potrebbe riuscire a «imporre il principio» del coordinamento fiscale, dando una valenza politica nuova all'area dell'euro e ponendo le basi per il governo europeo dell'economia. Dal¬ l'altro costringerebbe Londra a scendere a patti: se non vorrà rinunciare definitivamente all'euro si troverà a entrare nella moneta unica senza aver potuto negoziare l'accordo fiscale stretto da Paesi già membri dell'euro. L'ampiezza delle bande fiscali a cui punta Bonn non consentirebbe a Londra di trarre vantaggi dalla propria minore fi- scalità: gli investimenti hanno vita lunga e la loro localizzazione terrebbe conto dell'ingresso di Londra nell'euro entro poco. La strategia tedesca non è facile da realizzare. Tra i Paesi dell'euro, Irlanda, Lussemburgo e Spagna sono contrari ad armonizzare le tasse. Ma nulla impedisce ad alcuni Paesi di avanzare da soli, come prevede un impegno del'96 tra Kohl e Chirac, o di cercare una posizione prevalente nell'Euro-11, il Consiglio dei ministri delle Finanze dell'euro. Secondo fonti di Roma, l'Italia condivide la linea tedesca e a Bonn si è certi dell'appoggio francese. Se realizzata, l'iniziativa tedesca darebbe all'area dell'euro uno spessore politico nuovo, secondo la regola che vede gli Stati nascere, formarsi e rafforzarsi sulla base di regimi fiscali. L'euro non necessita per funzionare di una politica fiscale comune, ma da sempre le unioni monetarie che funzionano si basano sull'unione politica. Nei confronti di Londra il gioco è però rischioso. Spiega un commissario Ue: «Si renderebbe ancora più difficile politicamente l'adesione all'euro, perché implicherebbe la rinuncia a due sovranità anziché a una: quella fiscale oltre a quella monetana». Le reazioni inglesi alle mosse di Bonn sono furiose e a poche ore dal Consiglio di Vienna nulla indica un'intesa. Se lo scontro si aggraverà, toccherà alia Commissione europea il lavoro di ricucitura. Anche per evitare che il fervore regolatorio di Bonn e l'aspirazione a rimettere il carro della politica davanti ai buoi dell'economia, si spingano fino a trasformare il coordinamento fiscale in uniformazione, tarpando la concorrenza non sleale tra gli Stati che da alcuni anni insegna ai governi a far meglio il proprio lavoro. Carlo Bastasi»! Il commissario europeo per il Fisco Mario Monti