L'ultima partita di Joe

L'ultima partita di Joe Florida: l'ex campione di baseball, 84 anni, ha ricevuto la terza estrema unzione L'ultima partita di Joe Di Maggio lotta contro la morte UNA LEGGENDA D'AMERICA SNEW YORK TAVA, solo, nello spogliatoio, perché le leggende sono le ultime ad andarsene. Fumava una sigaretta, beveva un caffè e quando gli altri avevano chiuso la porta, si faceva la doccia, indossava silenzio, malinconia e un abito di classe e usciva per andare al night con una donna che fosse bionda, inutile e splendente. Sta, solo, nella sua camera d'ospedale a Hollywood, Florida, ultima leggenda morente d'America. Ha tubo nella gola, per tre volte gli hanno dato l'estrema unzione e per tre volte lui è tornato indietro, Ji ha guardati e ha detto: «Portatemi via da quest'accidente di posto», poi, però, ha chiuso gli occhi ed è tornato al confine, dove la sua esistenza sta per dissolversi e solo a lui è dato accarezzarla ancora una volta prima di abbandonarla, come accadde per Marilyn, Dorothy e le altre e soprattutto, infine, per lei, la più desiderabile di tutte, la Vita di Joe Di Maggio. Noi possiamo solo raccontarcela, perché non c'era la tv a, riprenderla, mentre lui la portava oltre il limite della fantasia e nel mito che la circonda c'è, anche, la prova che è la tradizione orale a costruire gli eroi e che tali sono gli uomini che ci assomigliano nelle premesse, ma risultano capaci di fare qualcosa che noi non sappiamo tentare. Tipo: venire da una famiglia originaria di Isola delle Femmine, Golfo di Carini, Sicilia, padre Giuseppe, pescatore, madre Rosalie, moglie di pescatore e conquistare l'America, tutta e per sempre. Ci fu una festa, l'anno scorso, per i 75 anni di «Time». Erano invitati tutti i volti viventi mai stati sulla copertina. Presidenti, premi Nobel, artisti, scienziati, si congratulavano l'un l'altro sotto i riflettori. Un uomo stava seduto nella penombra, come nello spogliatoio del tempo, circondato dalla sua aura. Una lunga fila di potenti del Novecento era incolonnata per potergli stringere la mano, riconoscendo che lui, misteriosamente, era il più grande. Perché loro lo sono stati nel territorio della realtà, lui in quello della fantasia, dove abitano i giochi e gli amori. Joe Di Maggio ha praticato l'arte del baseball con medita eleganza e quella dell'amore con ineguagliata sofferenza. Ha stabilito record imbattibili, vinto tutti i trofei possibili, battuto la palla più di ogni altro, presa al volo come nessun altro avrebbe provato a fare, sposato due meraviglie, di cui una era la donna più desiderata del mondo, divorziato da loro, continuato ad amarle, a portare rose rosse sulla tomba di Marilyn, a portare in giro quel suo corpo alto e diritto, lo sguardo da sempre dolente e per sempre giovane. Diranno, un giorno non lontano, che è morto. Sarà tecnicamente vero, indubitabilmente falso. Disse, lui stesso, l'I 1 dicembre 1951, annunciando il ritiro: «Non sono più Joe Di Maggio». Non fu così. E' stato, curiosamente, come non avesse mai smesso di giocare. Non c'è un solo filmato che lo mostri e forse per questo continuiamo a raccontarcelo e, ogni volta, è più bello «rivederlo». Te la ricordi quella palla presa al volo, contro i Giants? Lo stadio era ormai semivuoto, gli Yankees avevano stravinto, Hank Lieber colpì la palla in pieno e Di Maggio, nella sua divisa a strisce, si voltò e cominciò a correre verso sinistra, leggero e sicuro, diretto al monumento di Edelie Grant, il guantone sulla spalla. Non smise di correre, nessuno capì che aveva già preso la palla e se la stava portando via, aveva incartato la partita e gli sguardi nel suo guantone, con naturalezza. Si bloccò sulla soglia della scaletta, ricordando che il presidente Roosvelt era in tribuna e aveva chiesto ai giocatori di non lasciare il campo finché lui non fosse uscito, in auto, dal cancello principale, passando tra le squadre schierate. Quando lo fece, disse all'autista di rallentare davanti a Joe Di Maggio, lo salutò con la mano e chinò la testa. Riconobbe in lui la capacità di tentare l'impossibile e la dote di riuscirci, con semplicità, caricandosi anche, con dignità, il dolore che questo comporta. La previsione della sofferenza non ha mai fermato Di Maggio. Nessuno come lui è stato capace di giocare gran- di partite nonostante gli infortuni, di vincere da solo con un ginocchio a pezzi o con il dolore nel cuore per aver appena seppellito Babe Ruth. Nessuno come lui è andato incontro alle delusioni d'amore in modo consapevole, inarrestabile ed elegante. Disse, mentendo: «Io sono furbo: non m'innamoro. Con le donne mi limito a fare una buona partita». La perdeva, invece. Con tutte le bionde che lo aiutavano a combattere l'insonnia prima di andare in campo a fare miracoli. Con Dorothy Arnold che sposò e divorziò due volte, con Marilyn Monroe, che venne a lui da un altro pianeta, quando lui non si sentiva più Di Maggio e lei si sentiva troppo Marilyn. L'amò e per sempre, in un modo che riusciva a confessare solo agli amici e all'alcol. Quando, dopo il divorzio, gli dissero che lei aveva un altro, decise di andare a chiudere i con¬ ti. Partì, seguito dai suoi compagni più fidati. Fu Frank Sinatra, che era amico di entrambi, a indicargli la porta sbagliata e salire di sopra ad avvertire Marilyn, mentre Joe abbatteva a calci l'uscio e entrava urlando nella camera della donna sbagliata (se mai una giusta ne aveva incontrata). Adesso, nella camera d'ospedale di Hollywood, Florida, questa e altre scene ripassano nella sua mente, scorrono le cifre (56 valide consecutive, 274 giorni di matrimonio con Marilyn, 10 mila presenti a quello con Dorothy), Paul Simon in sottofondo canta: «Dove stai andandotene Joe Di Maggio, un Paese ti guarda immalinconito?» e, remoto, dal territorio della fantasia il Vecchio Santiago di Hemingway, si prepara finalmente a portare il «grande Di Maggio» a pescare nel Mare del Nulla. Gabriele Romagnoli L'anno scorso alla festa per i 75 anni della rivista «Time» è stato l'uomo più riverito da presidenti premi Nobel e artisti Ora sta solo nella camera d'ospedale con un tubo in gola: «Portatemi via da questo accidente di un posto» Ora sta solo nella camera d'ospedale con un tubo in go«Portatemi via da questo accidendi un posto» o i a rivista o riverito i e artisti Joe Di Maggio, che ha 84 anni, è ricoverato da ottobre in una clinica della Florida per un tumore ai polmoni. Nella foto, un'immagine di quando era la stella del baseball

Luoghi citati: America, Carini, Florida, Isola Delle Femmine, Sicilia