Un giorno di polemiche dopo il Crepuscolo di Guido Tiberga

Un giorno di polemiche dopo il Crepuscolo Melandri replica al maestro: ingeneroso desumere dalla mia mancanza un disinteresse generale Un giorno di polemiche dopo il Crepuscolo «Sapevano già che non potevo esserci» ROMA. «Però in Turchia a vedere la Juve ci è andata...». Nella lunga notte di Sant'Ambrogio, Riccardo Muti non voleva saperne di perdonare Giovanna Melandri, ministro a mezza strada tra lo sport e la cultura, colpevole di aver snobbato il suo «Crepuscolo degli Dei». A Muti poco importava di Vincenzo Visco e del sottosegretario Piero Giarda, la cui presenza alla Scala poteva essere considerata una degna rappresentanza del governo D'Alema. Il maestro, nel «suo» teatro, voleva il «suo» ministro. E lo voleva di persona, vista la freddezza con cui ha replicato alla lettera aperta che la Melandri ha fatto diffondere ieri a Roma. Un messaggio a doppio taglio, gentile nella forma ma secco nel contenuto: «Mi rincresce sinceramente che lei si sia dispiaciuto», scrive il ministro, dopo una decina di righe piene di lodi per il teatro che «ha dimostrato ancora una volta di essere tra i più importanti, se non il più importante del mondo...». Finite le lusinghe, la penna della Melandri diventa appuntita: «Tuttavia mi sorprendo della sua sorpresa - scrive -. Avevo da tempo comunicato al sovrintendente Fontana che mi era del tutto impossibile, per motivi del tutto personali, essere a Milano». La stoccata arriva alla fine: «L'attenzione e il rispetto per la Scala da parte mia sono, come è giusto, grandi. E mi sembra francamente ingeneroso desumere dalla mia assenza, peraltro da tempo annunciata, l'atteggiamento complessivo di un ministro nei confronti della cultura e delle nostre prestigiose istituzioni musicali...». Nelle poche ore tra la rabbia di Muti e la pepata replica della Melandri, il caso fa in tempo a diventare un campo di battaglia: furibondi i colonnelli di An, ai quali non va giù la presenza della Melandri a una serata gastronomica «di sinistra», organizzata dal mensile «Gambero Rosso». Ironici i leghisti, che rivendicano la «padanità» della lirica e predicano l'«incapacità romana» di capire Wagner. Dalla parte della Melandri, Vittorio Sgarbi e il suo alter ego dell'Udr Alessandro Meluzzi. Ma anche alcune voci interne al fronte del Polo: «Un'opera d'arte rimane un'opera d'arte, chiunque ci sia a sentirla - dice il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni -. E' inutile lanciare campagne contro il presenzialismo per poi protestare non appena qualcuno sceglie di restare a casa...». Ignazio La Russa, siciliano di nascita ma milanese di collegio elettorale, non ci sta: «E' un gesto di maleducazione istituzionale e meschinità politica - taglia corto il deputato di An -. Se Milano avesse avuto un sindaco di sinistra -' dice -, la signora Melandri sarebbe venuta di corsa. Ma non avrebbe fatto differenza: i milanesi non si sono accorti che mancava, non si sarebbero accorti che c'era...». Marco Formentini, l'ex sindaco del Carroccio, per una volta è d'accordo con La Russa: «In Lombardia siamo abituati al disprezzo di Roma - aggiunge -. Di ministri ne abbiamo sempre visti pochi. Veniva Spadolini, ma lui era padano come noi...». Poco prima Gennaro Malgieri, responsabile delle politiche culturali di An, aveva diffuso un duro comunicato: «Ma D'Alema si rende conto in quali mani ha messo la cultura italiana? L'insensibilità del neo-ministro è ancor più censurabile se si considera che, mentre a Milano andava in scena il capolavoro di Wagner, lei partecipava a una cena... Davvero un buon esordio per un ministro che fa già rimpiangere i suoi predecessori. Veltroni compreso». Domenico Fisichella, il professore di An che ai tempi di Berlusconi stava seduto sulla poltrona della Melandri, scuote la testa. Non è d'accordo con i suoi: «Non so perché il ministro non abbia assistito alla prima - premette -. Anch'io penso che la Melandri avrebbe fatto meglio ad andare alla Scala, ma i processi alle intenzioni non mi sono mai piaciuti. Posso comprendere la delusione del maestro, anche se temo che lui abbia la tendenza ad avere una visione un po' troppo "mutocentrica" del mondo. Ma il caso politico non esiste: è troppo presto per dare un giudizio sul ministro. Sarebbe stato assurdo promuoverla solo per la sua presenza a Milano, è del tutto prematuro bocciarla per la sua assenza. Tanto più che la prima della Scala è un evento culturale solo a metà. Il resto è pura mondanità...». Un «caravanserraglio» la definisce Alessandro Meluzzi, vicepresidente dell'Udr. «Una corte di damazze», aggiunge la cossuttiana Mariangela Rosolen. «Una serata dall'aura sinistra, tra Marta Marzotto e Francesco Borrelli - sorride Vittorio Sgarbi -. Mi rendo conto che potrei approfittarne per sparare sulla Melandri. Ma non ci riesco: io stesso, alle prime, non ci vado mai. Per rovinare la serata al procuratore, mi basta farmi vedere alla cena di gala...». Guido Tiberga CIp Il ministro Giovanna Melandri Sotto il maestro Riccardo Muti sul palco a conclusione del Crepuscolo

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