Scalfaro e i sette cavalieri all'ultima giostra della de

Scalfaro e i sette cavalieri all'ultima giostra della de LA GRANDE PARTITA ISIJJIB'J 91Cind( Scalfaro e i sette cavalieri all'ultima giostra della de LM ROMA m APPUNTAMENTO era per il matrimonio della figlia, Marcella, di Giorgio De Giuseppe, notabile pugliese di lungo corso paesano di Moro, già capogruppo, ministro e vicepresidente del Senato. Il luogo, almeno per i de di qualche lignaggio, assai suggestivo: la basilica di San Lorenzo in Damaso, attaccata al tribunale della Sacra Rota, a pochi passi da Campo de' Fiori e dal ricordo del rogo di Giordano Bruno. Il celebrante, va da sé, era un principe della Chiesa: l'arcivescovo di Lecce Cosmo Francesco Ruppi, in odore di prossima nomina a cardinale. Nel cortile in cui, giovanissimo, Andreotti andava a giocare a calcio, e dov'erano raccolti, dopo la cerimonia, invitati e parenti, si eran subito formate due file. Una, ovvia, per gli sposi. L'altra, più che fila, come un largo capannello attorno all'ospite d'onore. Il presidente del Senato Nicola Mancino, testimone della sposa e invitato anche nella qualità di supplente del Capo dello Stato, non immaginava certo di ricevere tanti auguri. Quando il vescovo gli si avvicinò, gli andò incontro. Presidente, lei sa che a Gallipoli la mia voce è ascoltata, fu più o meno la battuta del presuleAlla quale, in pratica, Mancino rispose solo con un sorriso Nelle stesse ore in cui la piccola enclave democristiana cominciava a interrogarsi sulla prossima corsa al Quirinale, e nella pigra vigilia romana del lungo ponte dedicate alla Madonna, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro era in viaggio per l'Australia. Chi ha parlato con Scalfaro e conosce un po' le regole delle grandi partite democristiane, può capire l'amarezza del vecchio Presidente, nel vedersi attribuita una sorta di autocandidatura per succedere a se stesso. Nella corsa al Quirinale, infatti, la prima regola dice che occorre sempre candidare gli altri, mai parlare di sé. Per questo, le parole pronunciate dal Presidente in viaggio, l'identikit del suo successore, prima ancora di pesare sulle strategie dei candidati, sono già diventate oggetto di studi. Scalfaro ha suggerito di puntare su un uomo di esperienza, competente di riforme, disposto a farsi da parte nel caso in cui il Parlamento dovesse approvare l'elezione diretta del Capo dello Stato. Poi ha risposto a Cossiga, che aveva fatto il suo nome, restituendogli la cortesia. Ha concluso dicendo che la rielezione del Presidente sarebbe un'anomalia. Ma non l'ha esclusa del tutto. Ora appunto, da un rebus come questo, non può uscire che un groppone di candidati. Al momento, solo in ambito post-dc sono sette: Cossiga, Mancino, Marini, Jervolino, Martinazzoli, Dini e Prodi. E sono tanti. Non è detto che questo faciliti l'ascesa, o il ritorno al Còlle, di un cattolico. Nella storia democristiana recente e remota, infatti, solo una volta la de riuscì a presentare un candidato unico. Lo scelse perché in realtà glie¬ lo scelsero gli altri partiti; e riuscì a farlo eleggere al primo colpo. Ma il giorno dell'elezione, il candidato, Cossiga, e il king-maker, De Mita, erano talmente increduli che non riuscivano a dormire. All'alba, si telefonarono e si diedero appuntamento, per smaltire l'ansia passeggiando. E incontrandosi, si scambiarono in regalo una Bibbia. Era il 24 giugno 1985, la data di un miracolo che non s'è più ripetuto. Prima e dopo, nella corsa al Quirinale, è successo di tutto. Leone, alla fine di un estenuante braccio di ferro tra Moro e Fanfani, fu eletto per stanchezza, dopo una ventina di votazioni, la sera di Natale del '71. Per Scalfaro, il 24 maggio del '92, ce ne vollero undici: ma fu la strage di Capaci a fermare la roulette russa di Forlani e Andreotti. Come vuole la tradizione de e la legge non scritta della partita più difficile, anche stavolta ognuno dei sette candidati ha le carte in regola e qualcosa che gli manca per diventare Presidente. Per essere eletti, si sa, non bastano i voti di uno solo dei due poli. Cossiga ha un grosso credito con D'Alema (di cui ha sponsorizzato il governo), buoni rapporti con Fini, ma un'ostilità dichiarata da Berlusconi e molti conti da regolare con chi lo accusa di aver picconato, in passato, soprattutto la de. Mancino, oltre un certo numero di sostenitori nel centrosinistra, ha il favore di Berlusconi, ma non di Fini, e più di un avversario nei Ds. Marini è l'uomo dell'accordo stretto con D'Alema: ma proprio quest'asse innervosisce molti nel centrosinistra, dentro e fuori il pds. La Jervolino dalla sua ha la tendenza, che si sta affermando, a portare una donna al Quirinale; ha i voti del centrosinistra; ma gestisce un ministero, come il Viminale, che è difficile da manovrare e che com'è già accaduto nel caso Ocalan, nell'arresto del questore Forleo, o a proposito di immigrazione, non facilita i rapporti con il Polo. Poi, ci sono gli outsider: Prodi, Dini e Martinazzoli. Il primo è il leader dell'Ulivo che ha sconfitto il Polo alle elezioni del '94. E' difficile che possa mietere consensi nel centro-destra. Il secondo, in questo campo, ha ancora tanti amici e gode della simpatia di D'Alema: ma con i popolari l'intesa s'è raffreddata. L'ex sindaco di Brescia (nonché ultimo segretario de e fondatore del ppi), se decide di entrare in campo, giocherà a sorpresa: ha un'immagine forte, ma ha contro di sé la tradizione che vuole il Capo dello Stato scelto tra i mille parlamentari grandi elettori. Così, mai come questa volta, la partita democristiana del Quirinale s'è complicata. L'esistenza di più eredi del vecchio partitone non facilita gli accordi. E i sette cavalieri marciano in ordine sparso. Questo spiega perché D'Alema, a chi glielo ha chiesto, ha risposto che è pronto a votare un cattolico come Presidente, purché i cattolici ne scelgano uno. E perché Scalfaro, volando verso l'Australia, sia stato così sibillino nel disegnare l'identikit'del candidato. Marcello Sorgi Una sola volta in passato i democristiani riuscirono a trovare un candidato: glielo scelsero gli altri partiti Manovre, segreti e trabocchetti di una corsa in cui tutto fa gioco e pesa l'atteggiamento del Vaticano Qui sotto Mino Martinazzoli: se entrerà in corsa giocherà a sorpresa Qui sopra Rosa Russo Jervolino: dalla sua ha la tendenza favorevole a una donna al Quirinale

Luoghi citati: Australia, Brescia, Capaci, Gallipoli, Roma