I DIRITTI DELLA NATURA di Gianni Vattimo
I DIRITTI DELLA NATURA I DIRITTI DELLA NATURA biologia e della genetica. Ed è di ieri la notizia che la Gran Bretagna ha aperto alla clonazione di tessuti umani a scopo terapeutico. Tutti sappiamo, più o meno chiaramente, che con il termine genoma umano si indica il patrimonio genetico di ciascuno di noi, quel codice che sta alla base della nostra costituzione fisica e della nostra storia individuale (predisposizione alle malattie, doti specifiche dei singoli, aspettative di vita ecc.). Un grande progetto internazionale a cui lavora tra gli altri il premio Nobel Dulbecco sta sviluppando una specie di «mappatura» di tutti i geni presenti nell'uomo, che renderebbe possibile un formidabile salto di qualità nella prevenzione e nella cura di moltissime malattie. Ovviamente, le stesse conoscenze permetteranno anche di predire con grande approssimazione il «destino» biologico delle singole persone, con pesanti conseguenze su tanti aspetti della loro vita, a cominciare dalle assicurazioni e dalle possibilità di lavoro. Già oggi, in società dove la nascita di una femmina in famiglia è considerata una sciagura, si teme che le diagnosi prenatali del sesso del nascituro vengano utilizzate per liberarsi subito del feto indesiderato. Ecco allora che nella sua recente dichiarazione sul genoma l'Unesco cerca di conciliare i diritti della ricerca scientifica, che per il bene di tutti non può essere ostacolata, con la dignità e i diritti delle persone coinvolte, compresi i non ancora nati che possono essere toccati dalle manipolazioni del loro codice genetico. E' questo solo un esempio del tipo di diritti che la dichiarazione del 1948, e meno ancora la precedente del 1789 a cui si erano ispirati i rivoluzionari francesi, non poteva in alcun modo sancire. Invano si cercherebbe in quelle dichiarazioni qualche allusione esplicita alle problematiche ecologiche e ambientali, un altro terreno che è diventato di bruciante attualità solo negli ultimi decenni; o ai tanti aspetti della difesa della privacy contro le intrusioni delle nuove tecnologie informatiche; o alla protezione delle culture «locali» (lingue, tradizioni, saperi) contro il rischio di vero e proprio genocidio a cui sono esposte a causa dell'omologazione planetaria operata dalla televisione. Constatare simili «lacune» non significa ovviamente svalutare la dichiarazione di cinquant'anni fa come obsoleta e legata a una temperie culturale (e politica) che non è più la nostra, anche e soprattutto perché molti dei diritti che essa sanciva attendono ancora di essere concretamente attuati. Si tratta però di prendere atto che i diritti dell'uomo non sono un elenco che si possa fissare una volta per tutte, in riferimento a una pretesa struttura naturale permanente sulla cui base fondare una legislazione definitivamente razionale e giusta. Persino la solenne affermazione dell'articolo 1, secondo cui «Tutti gli esseri umani nascono lìberi ed uguali» non può più essere presa come un dato di fatto pacifico da cui partire: si dovrà prima o poi dire che «DEVONO (esser fatti) nascere liberi ed eguali», con ciò stabilendo un principio per la legislazione in materia genetica. Come mostra questo esempio, acquistando in potere scientifico abbiamo anche perso la salda ovvietà di ciò che da sempre ci è apparso naturale, e cioè sottratto al nostro arbitrio. Se diminuisce l'autorevolezza (ideologica) della «natura», aumenta però l'esigenza di un consenso il più ampio possibile che possa valere come fondamento dei diritti che eravamo abituati a considerare naturali, ovvi, indiscutibili. Accanto ai nuovi «diritti» che nascono solo con le nuove condizioni di esistenza determinate da scienza e tecnica, il nuovo modo di valere dei diritti - non più fondati su una qualche natura obbligatoria per tutti, ma sul libero consenso di cittadini, popoli, parlamenti - rappresenta probabilmente l'altra grande novità con cui dobbiamo fare i conti a cinquant'anni dalla dichiarazione del 1948. Si tratta di una sfida che si intreccia strettamente con il problema della riforma delle Nazioni Unite per la quale è intensamente impegnata anche la diplomazia italiana. Aggiornare e adeguare sempre meglio alle nuove situazioni la carta dei diritti fondamentali che voghamo porre alla base della nostra convivenz sarà possibile solo trasformando sempre più chiaramente l'Onu in senso democratico ed egualitario. Si può dire che solo attuando finalmente, a livello internazionale e all'interno dei singoli Paesi, la carta del 1948, la comunità internazionale sarà in grado di sviluppare quella libera discussione da cui dovrà scaturire la nuova dichiarazione capace di valere nel prossimo secolo. Gianni Vattimo
Persone citate: Dulbecco
Luoghi citati: Gran Bretagna
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